E adesso l’Europa si è decisa a difendere il made in Italy

Ancora una volta, i piccoli contro i grandi. Tra segnali di speranza e nuove inquietudini. Basta visitare gli stand di MilanoUnica, il salone del tessile in corso nel capoluogo lombardo, per percepire gli umori dei tanti imprenditori che guidando aziende di dimensioni ridotte, costituiscono l’asse portante di un settore che dà lavoro a 500mila addetti. E che non ha ancora superato la crisi, anzi.
La buona notizia viene da Roma. Il Giornale qualche giorno fa aveva denunciato l’insabbiamento della legge Reguzzoni-Versace, che dopo essere stata approvata all’unanimità alla Camera, doveva approdare in Senato. Ebbene in pochi giorni la situazione è cambiata. La Commissione industria si è riunita ieri e ha ascoltato l’europarlamentare del Pdl Lara Comi che ha spiegato come anche l’Unione europea si stia muovendo per tutelare finalmente il «made in Europe», ponendo fine all’assenza di norme che finora ha favorito le multinazionali. Il Parlamento di Strasburgo dovrebbe approvare entro maggio un regolamento sull’etichettatura con finalità simili a quelle previste dalla Reguzzoni-Versace. «Basteranno tre emendamenti per armonizzare i due testi - spiega al Giornale la Comi - Ovvero bisognerà precisare che tutti i beni fabbricati fuori dalla Ue dovranno indicare obbligatoriamente la provenienza; che solo chi effettua almeno due passaggi di lavorazione nel nostro Paese potrà esibire il marchio made in Italy, il quale diventerà made in Italy al 100% per chi produce tutto nel nostro Paese».
Come dire: la legge si può fare, mentre Confindustria, tramite il vicepresidente Paolo Zegna, insiste per una verifica preliminare di compatibilità del Ddl con Bruxelles. Le novità annunciate dalla Comi sono state salutate con favore dal leader dei Contadini del tessile, Roberto Belloli. Insomma, qualcosa finalmente si muove.
Ma le liete novelle finiscono qui, perché l’umore dei piccoli e medi imprenditori resta cupo e l’annunciata rottamazione degli arredi tessili nel settore turistico-alberghiero non basterà a risollevarlo. Anzi. La misura voluta da Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia, e recepita dal viceministro per lo Sviluppo economico Adolfo Urso, non piace agli addetti ai lavori. Il tessile non è l’auto. E le rottamazioni non sono gradite, nemmeno se valgono 500 milioni di euro.
«Mi sembra che stiamo cadendo nel ridicolo», sbotta il biellese Luciano Barbera. E come lui tanti altri piccoli: «Quei soldi non serviranno a sostenere la filiera del tessile», «il provvedimento è troppo mirato e aiuta un settore di nicchia», «non ci porterà alcun beneficio», ripetono le tante voci che si levano a FieraMilanoCity.
Un giovane imprenditore pugliese Pier Paolo Goffredo, apprezza l’appello di Tronconi a «fare squadra», ma si chiede se non fosse stato meglio usare i 500 milioni per sensibilizzare l’opinione pubblica con una campagna pubblicitaria a sostegno delle imprese italiane. Uberto Capettini espone nel proprio stand una locandina in cui invita i suoi colleghi alla mobilitazione per scongiurare «la fine del settore tessile» e invita «il consumatore sano a comprare italiano».


Umori e stati d’animo che Pino Polli, il combattivo presidente della Federazione TessiliVari, ha recepito in una lettera aperta inviata qualche giorno fa al ministro Scajola in cui dice no alla rottamazione «che favorisce qualsiasi prodotto, anche importato». Meglio, molto meglio, defiscalizzare.

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