E agli Uffizi i pittori spagnoli e napoletani

«Filosofico umore» e «maravigliosa speditezza»: strano titolo per una mostra destinata al grande pubblico. Il sottotitolo arriva in soccorso: «Pittura napoletana del Seicento nelle collezioni medicee». Le due citazioni sono del biografo secentesco Filippo Baldinucci, riferite rispettivamente a Salvator Rosa e a Luca Giordano, i due principali protagonisti della rassegna, che si apre domani agli Uffizi. Lo sottolinea Antonio Natali, direttore degli Uffizi, in un breve saggio del catalogo (Giunti Editore). Basta, dice Natali, con nomi altisonanti, che spesso sono solo un richiamo pretestuoso per mostre effimere. Le mostre devono avere anche un valore «educativo», e gli Uffizi, che raggiungono un milione e settecentomila visitatori all’anno, non «avendo bisogno di promozione, possono giocare in questo senso un ruolo importante». Così si è deciso di riprendere il filone degli anni Settanta («Caravaggio e i caravaggeschi», «Pittori bolognesi del Seicento nelle Gallerie di Firenze»), con mostre che miravano a presentare gruppi omogenei di opere del patrimonio delle Gallerie fiorentine e che hanno permesso di rivedere situazioni collezionistiche e artistiche, aprire nuovi scenari. La nuova mostra, curata da Elena Fumagalli, presenta 38 dipinti, opere bellissime, come il Martirio di San Bartolomeo di Jusepe Ribera (1620-1630), il Paesaggio con soldati in riva a un fiume (1640-1648) e Menzogna (1645-1648), entrambi di Salvator Rosa, il Giudizio di Paride (1685-1686) di Luca Giordano, Salomè con la testa del Battista (1615-1620) di Battistello Caracciolo. Il flusso di artisti napoletani verso Firenze è studiato attraverso fonti di archivio, mentre le opere, quando è possibile, ritrovano negli inventari autori, titoli, antiche collocazioni, storia.
Battistello Caracciolo, in viaggio sulla via di Genova, sosta a Firenze nel gennaio 1618 e la sua pittura entusiasma il granduca Cosimo II che, dopo dieci mesi di attività dell’artista, ne loda le «virtù». A introdurre a Firenze, per la prima volta, Jusepe Ribera, detto lo Spagnoletto, attivo a Napoli dal 1616, è l’agente spagnolo Cosimo del Sera. L’attento Cosimo II non ci pensa due volte a ordinargli un dipinto e a inviargli denari nell’ottobre 1618. Forse si tratta del Martirio di San Bartolomeo, conservato a Palazzo Pitti. Salvator Rosa fu a Firenze dal 1640 al 1648 in stretta relazione con i Medici e altre nobili famiglie fiorentine. A presentarlo ai Medici e a portarlo via da Roma, dove si era inimicato prsonaggi di spicco come Bernini, fu l’agente mediceo Fabrizio Piermattei. A pagarlo otto scudi al mese - non molto - è invece Giovan Carlo de’ Medici.

Tra i primi dipinti realizzati dal pittore a Firenze, una spettacolare Battaglia per il granduca Ferdinando II, in occasione della nascita del figlio Cosimo nel 1642.
LA MOSTRA
«Filosofico umore» e «maravigliosa speditezza». «Pittura napoletana del Seicento nelle collezioni medicee». Firenze, Galleria degli Uffizi, 19 giugno - 6 gennaio.

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