E all’alba del 2008 i giornalisti scoprirono il computer

Il Parlamento ha deciso: all’esame di Stato saranno bandite le macchine per scrivere

Edizione straordinaria: i giornalisti hanno scoperto il computer. Alla buon’ora. C’è voluta addirittura una legge del Parlamento, ma da oggi l’esame di Stato si fa con il Pc. Qualcuno dirà: ma allora prima che cosa si usava, il calamaio? Lo scalpello? Le tavolette d’argilla?
Peggio, signori miei, peggio. Vi sveliamo un imbarazzante segreto professionale: in Italia, per fare l’esame da giornalista, c’è la macchina per scrivere. Sì, avete capito bene: nell’epoca di Internet e della fibra ottica, noialtri andiamo avanti con il rullo e i tasti che fanno tic-tac.
Detto così viene solo da ridere, ma chi ci è passato lo sa: scrivere un articolo con quell’aggeggio è una cosa agghiacciante. Amnesty International dovrebbe inserirlo nell’elenco delle torture disumane. La Cia dovrebbe usarlo con i prigionieri di Al Qaida per farli parlare.
Anzitutto, prima di usarla, la macchina per scrivere devi trovarla: perché ovviamente non ne fabbricano più. E allora cominci con i giri di telefonate, chiami il rigattiere, l’antiquario, la zia segretaria ai tempi di De Gasperi, la nonna dattilografa ai tempi di Cavour. Poi, quando l’hai trovata, viene il difficile: imparare a scrivere senza farsi del male fisico.
Quando entri nella sala dell’hotel di Roma dove i giornalisti affrontano l’esame, sembra di stare a Omaha Beach durante lo sbarco in Normandia. Immaginatevi miliardi di tasti che sbattono sulla carta, tipo scariche di mitragliatrici. I più attrezzati si portano i tappi per le orecchie, gli altri dicono addio ai timpani.
Ti siedi: hai appena il tempo di riordinare le idee - se le mitragliatrici non ti hanno steso - e già arrivano i primi problemi tecnici. Il pulsante che s’inceppa, la carta che s’accartoccia, il dito incastrato nelle lamiere. Passano i minuti, e l’esame di Stato diventa una sfida personale fra te e la macchina. Scrivi, cancelli, riscrivi. Poi cancelli, sbianchetti e riscrivi ancora. E intanto pensi: ma perché devo spaccarmi la testa con quest’affare? Perché nell’era multimediale, devo adoperare una tecnologia risorgimentale?
Nel frattempo cominci a grondar sudore, dopo un quarto d’ora hai scritto una sola riga, devi ricontare le battute per non superare i limiti. Poi, alla fine, quando sei sudato da fare schifo, distrutto, con la camicia deturpata d’inchiostro, finisci il tuo capolavoro. Ed è lì che ti accorgi di aver scritto un mare di boiate. Al posto di Corriere della Sera hai scritto «Corriere della Pera». Al posto di «Consiglio dei Ministri» hai scritto «Coniglio dei sinistri».
Ti rendi conto che anche i concetti ortograficamente esatti sono privi di contenuti. E ti arrabbi come una iena perché, dedicando tutta l’attenzione alla macchina infernale, ti sei dimenticato il resto: cioè le notizie, la chiarezza, la precisione, la sintesi. Insomma: il giornalismo. E allora ti chiedi: perché tutto questo? Perché il futuro, cioè il Pc, arriva solo oggi, dopo anni di barbarie? «Con il computer all’esame puoi copiare» diceva qualcuno. Motivazione idiota, perché puoi copiare benissimo in ogni caso, e i colleghi possono confermare.
Il motivo credo sia un altro: i giornalisti sono rimasti alla preistoria per motivi d’immagine: perché la macchina per scrivere è un simbolo corporativo, un rimasuglio romantico.

Ci pensi e ti viene in mente la Lettera 22 di Montanelli. Come se bastasse quella per forgiare un grande giornalista. Ora per fortuna è arrivato il computer: meglio tardi che mai. Nella speranza che un giorno, chi scrive i giornali, si metta al passo con chi li legge.

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