«E allora il Getty ci restituisca Lisippo»

«E allora il Getty ci restituisca Lisippo»

Un tempo brillavano sull’Acropoli di Atene, ora sono al British Museum di Londra, al centro di una delle dispute più clamorose della storia dell’archeologia. Si tratta di 56 pannelli marmorei e 15 metope del Partenone, 17 figure frontonali, una cariatide e una colonna dell’Eretteo, i cosiddetti «marmi Elgin», dal nome dell’ambasciatore britannico Thomas Bruce, settimo conte di Elgin che, all’inizio dell’Ottocento, li staccò dalle architetture ateniesi e li portò a Londra a casa sua. Lì nel giugno 1816 furono acquistati dal British Museum per 35mila sterline. Ora molti si chiedono: è giusto o no restituirli ad Atene per ricongiungerli ai restanti che si trovano oggi al nuovo Museo dell’Acropoli?
A sostenere la restituzione è Christopher Hitchens, autore di I marmi del Partenone. Le ragioni della loro restituzione, ora pubblicato in edizione italiana (Fazi, pagg. 163, euro 19,50). A opporsi, il British Museum e altri personaggi della cultura. L’inglese Hitchens, scrittore e polemista (è autore dello «scandaloso» Dio non è grande, «la Bibbia degli atei»), la questione dei «marmi Elgin» l’ha a cuore da anni. Il suo impegno per la restituzione comincia vent’anni fa quando la «British Committee for the Restitution of the Parthenon Marbles» gli chiede un intervento «che facesse semplicemente appello alla giustizia naturale»: le sculture del Partenone erano state amputate e saccheggiate al tempo in cui la Grecia era dominata dai turchi, all’inizio dell’Ottocento. Un torto che andava riparato.
Nel libro odierno (con prefazione della scrittrice sudafricana Nadine Gordimer) Hitchens ripercorre tutta la storia del Partenone, dalle origini alle trasformazioni nei secoli, alle spoliazioni ottocentesche. Racconta come quelle magnifiche pietre scolpite al tempo di Pericle e Fidia, nel V secolo a.C., fossero state tagliate e asportate a partire dal 1801 da Lord Elgin «in modo non legale» e con scopi di interesse privato: l’abbellimento della sua casa in costruzione in Scozia e la possibilità di raccogliere un bel gruzzolo dal governo inglese, offrendo i marmi per 62.440 sterline ed ottenendone la metà. Puntando sull’esame di carteggi d’epoca e documenti vari, Hitchens cerca di dimostrare l’«illegalità» dell’operazione di Elgin e l’opportunità del ricongiungimento dei marmi del British Museum con quelli rimasti ad Atene nel nuovo Museo dell’Acropoli (che si inaugura domani), garante di una buona conservazione.
Le ragioni opposte sostengono invece che, grazie a Elgin, le sculture si sono conservate, sono state più al sicuro al British Museum che ad Atene, hanno permesso lo studio dell’antichità greca e che il bravo Elgin aveva agito con lo spirito di un conservazionista. Inoltre la restituzione dei marmi creerebbe un precedente per lo svuotamento dei musei e delle collezioni d’arte di tutto il mondo, dal Museo Guimet di arte orientale di Parigi al Museo Egizio di Torino. Senza contare che Venezia dovrebbe restituire a Istanbul i cavalli di San Marco e Berlino alla Turchia i marmi dell’altare di Pergamo. Oppure il busto di Nefertiti oggi ospitato nell’Altes Museum della capitale tedesca, a meno che si dimostri senza ombra di dubbio che si tratta di un falso e quindi nessuno ne voglia più sapere.
Eppure la questione delle restituzioni non è così semplice e continua ad appassionare e a dividere studiosi e responsabili di musei. Basti pensare alle roventi polemiche suscitate dalla restituzione nel 2004 dell’obelisco di Axum, la stele di basalto alta 24 metri che dal 1937 si ergeva davanti alla sede attuale della Fao a Roma. Vecchia di 1700 anni, da quattrocento almeno la stele giaceva a pezzi nella città sacra di Axum. Da lì, dopo la conquista dell’Etiopia, gli italiani la trasportarono a Roma dove la rimontarono.
I trattati del dopoguerra imposero all’Italia la restituzione delle opere d’arte sottratte, ma il vecchio e saggio imperatore Hailé Selassié si accontentò del Leone di Giuda, lasciando l’obelisco all’Italia, in segno di riconciliazione. Furono i successivi governi, una volta deposto e ucciso il monarca, a volerlo indietro.


Ma gli studiosi italiani che cosa pensano delle restituzioni? Per Cristina Acidini, Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, «il problema è complesso e delicato. Solo un ente giuridico internazionale può ricostruire che cosa è successo, e parlare di legalità o meno. E solo allora, dopo un serio verdetto, ci si potrà mettere a discutere tra storici».
www.mauriziatazartes.it

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