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E in Perù un altro populista va a caccia della presidenza

E in Perù un altro populista va a caccia della presidenza

Alberto Pasolini Zanelli

Il Sud America cambia, lo ammettono tutti. Quanto in fretta e in che profondità dipenderà anche dall’esito delle elezioni presidenziali odierne in Perù; ma già i pronostici, che pur prevedono un’incertezza e un rinvio della decisione al secondo turno, confermano che il mutamento c’è. L’ultima volta fu eletto Alexandro de Toledo, populista con la benedizione del Fondo monetario internazionale, «indio» ma espressione della finanza sofisticata e transcontinentale. Oggi a sostenere più o meno una continuazione della sua linea c’è soltanto uno dei tre candidati maggiori, una democristiana fin nel nome, Lourdes, cognome Flores Nano. È lei ad avere la «benedizione» anche di Washington e l’intenzione di stringere i tempi e firmare con gli Usa quel trattato di libero commercio che fino a un paio di anni fa sembrava la soluzione concordata per i problemi dell’America latina e che ora viene contestato o addirittura rifiutato dalla maggior parte dei governi e dei Paesi. Se anche Lourdes arriverà in finale, il 7 maggio, avrà bisogno di un ulteriore miracolo per spuntarla contro uno dei due possibili oppositori, che rappresentano rispettivamente il passato e, forse, il futuro.
Il primo è Alan Garcia, un dimenticato, un uomo della vecchia sinistra di impronta socialdemocratica, una stirpe che pareva in via di estinzione e che era stata ripudiata da tempo e con costanza dagli elettori peruviani. Il secondo è Ollanta Humala, un populista di ben diversa origine ed educazione, un nazionalista, un antiliberale, che si rifà nei momenti di buon umore al brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e quando è arrabbiato al venezuelano Hugo Chavez. Con il precedente del Venezuela lo unisce ciò che lo divide da Toledo, un passato militare invece che tecnocratico e un vigore demagogico che lo colloca senza riserve nel novero della neosinistra latinoamericana, portato dal ventunesimo secolo.
Oltre che a Chavez egli assomiglia, o mostra di voler assomigliare, al sorprendente Evo Morales, neopresidente della Bolivia, portatore di rivendicazioni culturali dell’era inca, ammiratore di Fidel Castro. Garcia è l’alternativa nel sistema, Humala l’alternativa al sistema, espressione demagogica di un «Paese profondo» e di rivendicazioni antiche. I sondaggi concordano nel prevedere che sarà lui ad arrivare in testa nel primo turno odierno, con Lourdes Flores al secondo posto e Alan Garcia al terzo; il che metterebbe fuori gioco la Vecchia Sinistra e obbligherebbe i suoi elettori, prevalentemente urbani, a scegliere fra il neoliberalismo filoamericano e il populismo ribellista.

Anche per questo Garcia ha tentato, negli ultimi giorni di una lunga campagna elettorale, di appropriarsi di alcuni temi del nuovo populismo, anteponendo l’appello nazionalista al discorso socialdemocratico, gareggiando con Humala nel prendere le distanze dalla liberalizzazione degli scambi e dalla globalizzazione in genere e promettendo perfino di portare il Perù, invece, nell’inedita area di «libera coca in libero Stato» sulle orme del leader cocalero da poco salito alla presidenza a La Paz.

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