E la base si divide fra complottisti e delusi

I dirigenti tacciono, ma Radio Padania raccoglie sconcerto e rabbia dei militanti

Milano I generali leghisti entrano nel fortino assediato in silenzio. È una processione muta di auto dai finestrini chiusi, come saracinesche. Tace il governatore Roberto Cota, in camicia bianca da sposo, tace l’ex ministro Roberto Castelli, bersagliato dai flash al passo carraio di via Bellerio, tacciono anche i muri. A parlare, attraverso i microfoni di Radio Padania, è la pancia del partito. «La Lega va da sola alle elezioni e allora vogliono colpirla». «No, non sono d’accordo dobbiamo fare pulizia anche noi, anche al nostro interno. Padania libera».
Il pomeriggio trascorre in una strana atmosfera. Il quartier generale della Lega, un edificio dimesso che fa tanto periferia, sembra quasi vuoto. Passa una troupe di Telepadania, nello zaino l’intervista raccolta in Cattolica a Bobo Maroni - «in mancanza di altro daremo quella» - entra e esce qualche impiegato, l’unico a rompere la bolla e ad affrontare i giornalisti è il sindaco di Varese Attilio Fontana, maroniano doc. E dritto al bersaglio come una freccia: «Via chi ha sbagliato». Ma i militanti non sono in fuga; anzi, Radio Padania è un fiume di chiamate: fra le cento e le centocinquanta nell’arco di due ore e passa, dalle 16 alle 18.30. Con un paio di break. Roberto Ortelli, conduttore navigato, tasta gli umori, provoca, legge i dispacci di agenzia senza censurare le notizie sconvolgenti in arrivo da un grappolo di procure. Gli ascoltatori però hanno già le idee chiare: «Hanno colpito Berlusconi - spiega un signore di mezza età - ora all’opposizione restava la Lega. E allora giù, contro di noi. Padania libera». «Dobbiamo reagire - insiste un giovane - dobbiamo andare a Brogeda, dobbiamo bloccare le frontiere, attuare lo sciopero fiscale. Ci vuole la secessione... No, le armi non c’entrano, quelle sono fesserie, ma non possiamo farci mettere i piedi in testa».
Da Treviso alla Brianza, da Torino a Voghera le telefonate s’inseguono e si passano il testimone della diffidenza, di più dell’indignazione contro il potere incontenibile delle procure. «Manca un mese alle elezioni e guarda caso vengono in via Bellerio a rovistare». «E poi - aggiunge un veterano del movimento come l’ex senatore Erminio Boso, a lungo ai microfoni di Ortelli - cosa c’entrano Roma e Napoli con la Lega?» «No, non è Roma, è Reggio Calabria», spiega il conduttore. Boso, l’Obelix caro ai leghisti della prima ora, non sembra condividere la riflessione e anzi osserva come un meteorite nemico lo strano avanzare dei pm di mezza Italia su via Bellerio. Il federalismo giudiziario in salsa antileghista non piace. «Guarda, Ortelli - riprende il combattivo ex parlamentare - vogliono solo buttarci addosso un po’ di fango. Anzi, di m...»
Qualcuno si appiglia ad una parola, complotto, che come un trapezio ti porta nel lessico berlusconiano. Curioso, la base leghista, almeno una parte, per lungo tempo aveva chiesto lo strappo e l’addio al governo del Cavaliere anche perché non ne voleva più sapere delle invettive berlusconiane contro la magistratura. Ora però il nome del fondatore di Forza Italia diventa una stampella nel ragionamento. «Ci attaccano, forse Berlusconi ne sa qualcosa. Lui ci è passato. Ora restiamo noi». Ma non tutti la pensano allo stesso modo. Anche la base è spaccata. A spanne, fra bossiani doc e maroniani. «Sono un leghista da sempre e sempre voterò Lega. Però lasciatemi dire che sono deluso. Dobbiamo fare pulizia». «Sì facciamo pulizia, è arrivato il momento». Telefona addirittura un elettore di sinistra che racconta in diretta la sua «simpatia, anzi vicinanza alla Lega» E anche lui, da esterno ma non troppo, predica il «rinnovamento». Un simpatizzante ricorda i guai del presidente lumbard del Consiglio regionale lombardo Davide Boni, pure indagato. Poi viene a Belsito: «Faccia un passo indietro».

«Un attimo - s’inserisce una voce maschile che non ha smarrito la memoria - è sotto inchiesta Boni ma vorrei anche ricordare un pezzo grosso del Pd come Filippo Penati. Però sono d’accordo. Belsito deve dimettersi». È sera quando dal fortino muto li accontentano.

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