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E il Canada finalmente vinse la sua Olimpiade

Da Alexandre Bilodeau a Sydney Crosby: l’Olimpiade canadese è tutta, si fa per dire, qui. Alexandre e Sydney sono i tabù che cadono, il sogno diventato realtà, il trionfo immortale. Bilodeau ha vinto il primo oro olimpico «in casa», spezzando la maledizione di Montreal ’76 e Calgary ’88 dove nessun canadese era riuscito a salire sul gradino più alto del podio; Crosby ha segnato il gol vittoria nella finale di hockey contro gli Stati Uniti, da sempre i cugini più grandi, più potenti, più chiassosi. Sydney Crosby ora è the next one - il prossimo -, soprannome che rimanda al canadese Wayne Gretzky the great one - il più grande -, il più forte hockeista di tutti tempi. Crosby è la rivincita di un’intera nazione che per anni ha dovuto sopportare gli sfottò dei vicini a stelle e strisce. Provinciali e ingenuotti, li definiscono gli statunitensi. Ma chi sono gli sfigati adesso, man?
È il potere dei cinque cerchi. Il Canada oggi è una nazione profondamente diversa da quella che aveva accolto il resto del mondo in casa propria due settimane fa. Ha affrontato la tragedia della morte dello slittinista georgiano Nodar Kumaritashvili a poche ore dalla cerimonia di inaugurazione. Ha superato gli intoppi organizzativi e le bizze del meteo. Ha combattuto contro il febbraio più caldo degli ultimi 114 anni. Si è stretto attorno alla pattinatrice artistica Joanie Rochette che ha perso la madre a poche ore dalla gara. Ha rispedito al mittente le accuse del resto del mondo: non più tardi di dieci giorni fa il quotidiano inglese Times spiegava come «dopo quello che abbiamo visto a Vancouver, Londra 2012 non avrà nulla da temere».
Invece adesso il Canada è un acero che splende. E una nazione che, convinta della propria forza, riesce anche a ironizzare su se stessa:nella cerimonia di chiusura, gli organizzatori hanno scherzato perfino sull’apparente fiasco della manifestazione di apertura, quando solo tre dei quattro bracci della vasca olimpionica emersero dal fondo dello stadio. «Se il Canada che si è riunito per la cerimonia di apertura era un po’ misterioso per alcuni, non lo è più. Ora ci conoscete, no?», la battuta di John Furlong, presidente del comitato organizzatore, prima che il cantante Neil Young rendesse omaggio con la sua celebre «Long May You Run», riferimento ironico al maltempo che ha tormentato Vancouver.
«Il mondo ora pensa che siamo fighi» inneggia il Vancouver Sun; «Bottino record, il trionfo di una nazione» titola The globe and the Mail; «È difficile credere che abbiamo fatto divertire così tante persone» ammette The province; «Inizio tragico, finale trionfale», sintetizza The Gazzette. Insomma: un successo. Nell’organizzazione e sul campo. Suo il medagliere finale, sue le quattordici medaglie d’oro - un record per i Giochi invernali -. Dall’hockey allo short track, passando per pattinaggio, snowboard e curling, non c’è disciplina dove l’alce canadese non abbia piazzato un’incornata.È restata a guardare soltanto nello sci di fondo e nello sci alpino, dove il discesista Osborne-Paradis era partito con grandi ambizioni, ma ha portato a casa ori su ori nello skeleton, nell’hockey e nel bob. Ha dettato legge negli sport del nuovo millennio come il freestyle e lo ski cross.


Il Canada ha vinto. E chi sono gli sfigati adesso?

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