Milano - Negli anni Ottanta Giorgio Oldrini era il corrispondente dell’Unità da Cuba, rango praticamente da ambasciatore: sole, aragoste e socialismo in salsa caraibica. Filippo Penati invece era già a Sesto, nelle nebbie cariche di smog, a costruire con passione da formichina la sua carriera di uomo d’apparato del Pci, assessore, funzionario di partito, assicuratore Unipol, cooperatore rosso. Forse bisogna iniziare da allora, da quei due percorsi radicalmente diversi - anche se consumati entrambi dentro lo stesso partito - se si vuole capire fino in fondo la tormenta che oggi agita Sesto San Giovanni, le dinamiche da terremoto innestate dall’inchiesta della Procura di Monza che nel giro di venti giorni ha fatto della città icona della classe operaia il simbolo della via democratica alla mazzetta.
Nel Pci, nei Ds, oggi nel Pd: le vite degli ultimi due sindaci di Sesto scorrono apparentemente parallele, eppure nell’avvicendamento che nel 2002 porta Oldrini sulla poltrona di Penati c’è una discontinuità che emerge clamorosamente adesso, davanti all’inchiesta che ha investito in pieno Penati e che lambisce Oldrini. Tanto che giovedì scorso, quando Oldrini organizza un tour in torpedone per portare i giornalisti in giro per Sesto San Giovanni, parla dell’epoca di Penati come se si parlasse di un altro mondo, di un altro partito, e non della stessa ditta. «All’epoca di Penati», «quando c’era Penati». La verità è che Filippo Penati era un esemplare classico di una generazione di funzionari di partito cresciuti nel culto di quello che Massimo D’Alema chiamava «il primato della politica», e che tradotto più prosaicamente vuol dire che per il partito e per il potere si può fare tutto o quasi tutto. E invece Oldrini diventa sindaco già nella fase della dissoluzione comunista, quando un partito che si credeva immortale - il vecchio Pci sestese - si trova spiazzato davanti ad una realtà cambiata troppo in fretta, con gli operai che nelle fabbriche in stato preagonico iniziano a votare Lega e Forza Italia. È in quel disorientamento che i Ds di Sesto nel 2002 si rivolgono al giornalista Oldrini per chiedergli di fare il sindaco mettendo fine a uno scontro interno che rischia di dilaniarli.
Non è un caso che Penati, nel 2002, si opponga fino all’ultimo alla candidatura di Oldrini. Poi la subisce, più che accettarla, e quando diventa presidente della Provincia il fossato tra i due si allarga ancora di più. Oggi, nella tormenta scatenata dall’inchiesta di Monza, dal sindaco di oggi non arriva mezza parola in difesa del sindaco di ieri. E viceversa. Girare per Sesto San Giovanni in questi giorni, parlare con i vecchi «quadri» dell’ex Pci, dà il polso di come l’esplosione della questione morale stia devastando ulteriormente quel che resta del glorioso partito. Le primarie che dovevano tenersi a settembre per scegliere il prossimo candidato sindaco sono saltate, e non si sa quando si terranno. L’incubo di una sconfitta epocale, alle amministrative della prossima primavera, inizia a turbare i sonni del frammentato gruppo dirigente della sinistra sestese.
«In questo decennio abbiamo governato una crisi che poteva diventare una tragedia», dice Oldrini mostrando con orgoglio legittimo ai cronisti le case, le biblioteche, i musei che stanno sorgendo dove una volta c’erano la Falck, la Breda, la Marelli, la Campari. Si vanta di avere strappato ai proprietari immobiliari qui un pezzo di verde, qui una casa popolare. Ma il problema è che questa trattativa continua, questo scambio permamente tra potere politico e potere dei quattrini, è avvenuto sempre con gli stessi volti di sempre, all’interno di un sistema chiuso che ha nella continuità del monopolio del potere da parte del Pci, dei Ds e del Pd uno degli elementi fondanti. Prima Penati e poi Oldrini hanno avuto come interlocutori lo stesso gruppo di costruttori e di imprenditori che negli anni Novanta, con la benedizione dell’amministrazione comunale, si sono progressivamente impadroniti del territorio di Sesto e hanno poi mercanteggiato con il partito la sua trasformazione. Sono i Pasini, i Di Caterina, i Fondrini, che oggi sono diventati i grandi accusatori dell’amministrazione rossa, ma con i quali - paradossalmente - il Comune di Sesto San Giovanni continua a fare accordi ed affari: mercoledì scorso in Regione si sono trovati lì, come se niente fosse, gli uomini di Pasini e i funzionari del Comune, a firmare l’accordo sull’area della Ercole Marelli, uno di quelli sotto inchiesta da parte dei pm.
Ma Oldrini non è Penati, nelle carte non c’è traccia di soldi che gli siano finiti, e per attribuirgli un tornaconto personale nella gestione degli appalti la Procura di Monza deve indicare un vantaggio, quello del «consenso elettorale», che è difficile da quantificare. «Se qualcuno ha preso i soldi deve andare in galera», dice Oldrini, e con l’aria che tira non è una affermazione che dalle sue parti piacerà proprio a tutti.
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