Gian Battista Bozzo
da Roma
A ventiquattrore dalle parole di Romano Prodi, sulle pensioni lincertezza è massima: ministri dello stesso governo, e per di più dello stesso partito, in contrapposizione non solo sui contenuti ma persino sui tempi del tavolo previdenziale; sindacati che continuano a premere sul pedale del freno; sinistra radicale che, al grido «le pensioni non si toccano», ribadisce che non accetterà proposte «peggiorative» sulla previdenza.
A Pierluigi Bersani, che propone un anticipo del tavolo sulle pensioni rispetto alla scadenza di gennaio, marcando così quella scelta riformista chiesta a gran voce da economisti, agenzie di rating, osservatori internazionali come il Financial Times, il ministro del Lavoro Cesare Damiano replica, senza esitazioni: «Non sono daccordo, esiste un memorandum firmato coi sindacati che prevede dei tempi, e noi dobbiamo rispettare gli accordi».
Il ministro dello Sviluppo abbozza, e fa dire al suo portavoce che «si potranno prevedere già dalle prossime settimane rapporti fra le parti, per unistruttoria che dia efficacia al percorso».
Quanto ai contenuti, Damiano dice che «non cè molto da inventare: il range (la forchetta, ndr) fra i 57 e i 65 anni per uscire dal lavoro potrà essere rivisto, ma sempre mantenendo il principio della flessibilità di scelta». Si discuterà anche dei coefficienti di trasformazione, un tema molto delicato perchè una loro riduzione porterebbe a un taglio dei trattamenti pensionistici. Quanto allormai famoso «scalone» della riforma Maroni, che prevede dal 2008 il pensionamento a 60 anni (dai 57 attuali) con 35 annualità contributive, Damiano intende cancellarlo, venendo incontro alle richieste dei sindacati. «Non vogliamo fare cassa - dice il ministro del Lavoro - ma mantenere il sistema in equilibrio: lo scalone sarà trasformato in tanti scalini. Vogliamo permettere ai lavoratori di andare in pensione nel 2008 anche prima dei sessantanni». Lidea di Damiano è di consentire nel 2007 il pensionamento a chi ha maturato i 35 anni di contributi e ha 57 anni detà. Lanno successivo, nel 2008, si salirebbe a 58 anni detà e sempre 35 di contributi. A regime, laggiustamento potrebbe prevedere tre possibilità: andare a riposo a 58 e 59 anni, ma con disincentivi; pensionamento a 60 anni senza alcuna penalizzazione; pensionamento da 61 anni in poi, con incentivi. Fermi restando, in ogni caso, i 35 anni di contributi. Damiano, infine, pensa a esenzioni per i lavori usuranti.
Il tavolo delle pensioni partirà dunque in gennaio, a finanziaria approvata. Ma il cammino si preannuncia tuttaltro che facile. La sinistra radicale della maggioranza alza già i primi cavalli di frisia, con Pino Sgobio (capogruppo dei comunisti italiani alla Camera) che chiede leliminazione dello «scalone» e lintroduzione di un sistema di indicizzazione delle pensioni. «Le pensioni non si toccano», avverte leuroparlamentare Pdci Marco Rizzo. E i sindacati, in particolare Cisl e Uil, si fanno sentire. Per Luigi Angeletti, segretario della Uil, di anticipo di discussione non si deve parlare. «In ogni caso - aggiunge - nessuno pensi al prossimo confronto come a unoccasione per una riduzione di spesa previdenziale nel breve periodo». Aggiunge Renata Polverini, segretario dellUgl: «Parlare oggi di riforma delle pensioni è prematuro e inopportuno, si rischia solo di aumentare lo stato dincertezza dei lavoratori». Il segretario cislino Raffaele Bonanni promette che i sindacati ne discuteranno con la base: «Sentiremo i lavoratori, ma è demenziale - osserva - che ogni mattina si facciano annunci sulle pensioni: così si incentivano i pensionamenti».
Intanto, Damiano convoca per il 30 novembre il tavolo sulla previdenza integrativa, con sindacati e Confindustria. Il ministro vuole arrivare al più presto a un decreto che recepisca gli accordi sul Tfr, e spera che nel 2007 il 40% dei dipendenti aderisca a fondi pensione complementari.
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