E una «dura» di 16 anni rapina tre donne

«Noi siamo della Gabber Mafia»: senza tanti giri di parole, e quasi vantandosene, le due ragazzine si erano presentate così dai carabinieri di Crescenzago, quando erano state convocate, qualche anno fa, per rispondere delle telefonate di minaccia a una coetanea. Ora, il tribunale di Milano ha condannato quelle due stesse ragazzine a pagare quasi trentamila euro di danni per un altro atto di bullismo, ancora più violento, ai danni di un’altra coetanea colpevole solo di avere guardato «con insistenza» una di loro. Anche stavolta, le due affermano di avere agito in nome della Gabber Mafia: che, nella sentenza, viene indicata come un «movimento adolescenziale di estrema destra in vigore tra i giovani», ma è anche il nome di un gruppo musicale, ed è probabilmente anche una sigla usata liberamente nell'universo del bullismo giovanile.
Le due fanciulle della Gabber Mafia ora sono diventate maggiorenni. Per l’aggressione alla ragazzina, la giustizia penale le ha già perdonate, avendole affidate all’esame dei servizi sociali che le hanno giudicate positivamente. Ma davanti al tribunale civile il conto di quella aggressione è arrivato adesso. A pagare i danni saranno le due amiche e le loro famiglie, accusate di non averle sapute educare. E il giudice, con una decisione non ovvia, ha stabilito che a pagare debba essere anche il padre di una delle due, anche se ormai separato dalla moglie: anche se l’uomo non viveva più con sua figlia, secondo il giudice, continuava comunque ad avere l’obbligo di farsi carico della sua educazione. E se non ha saputo fare il suo dovere di padre è giusto che ne risponda anche economicamente.
La vittima dell'aggressione, F.R., aveva denunciato ai carabinieri di essere stata attirata dalle due quindicenni ad un appuntamento, con la scusa di farle conoscere un ragazzo: ma una volta arrivata era stata aggredita violentemente dalle due, che le rimproveravano di avere guardata una di loro qualche giorno prima «in modo insistente» e di averla presa in giro. Nonostante le sue scese, le avevano rubato tutti i soldi e il cellulare e la avevano presa a calci e pugni. Le due, «presentatesi negli uffici della stazione dei carabinieri, dichiaravano in maniera minacciosa di appartenere al movimento Gabber Mafia, tenendo inoltre un comportamento aggressivo che non denotava pentimento per quanto accaduto». Ciò nonostante, i giudici penali avevano ritenuto che non fosse il caso di infierire. Ma a quel punto l’avvocato di F.R., Giovanni Grillo, ha fatto causa sia alle due bulle che alle loro famiglie per ottenere il risarcimento dei danni fisici e morali. Il tribunale, nella persona del giudice Rossella Filippi, ha riconosciuto alla vittima un risarcimento di 27mila euro, più gli interessi e le spese.

E a versare la somma dovrà essere anche il padre separato di una delle bulle, perché «la separazione giudiziale dei coniugi non fa venir meno il dovere educativo del genitore dotato di potestà genitoriale e non convivente, dovere che dovrà manifestarsi in forme e contenuti diversi ma che rimane comunque attuale»

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