da Milano
Ha costituito uno dei volani che ha mutato il volto del credito nazionale ma l«interpretazione» italiana della governance duale è da rivedere perché può creare ambiguità tra i poteri di gestione e quelli di controllo: il presidente della Consob, Lamberto Cardia, approfondisce il solco tracciato qualche mese fa al Forex dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi. Il problema è laccavallarsi di «responsabilità», allinterno del consiglio di sorveglianza, ha attaccato Cardia dando voce con tono pacato ma fermo alle trenta pagine della propria relazione annuale. Malgrado il governo alla tedesca sia stato abbracciato anche dalle due Superpopolari nate sullasse Lodi-Verona e Bpu-Banca Lombarda, i destinatari impliciti della stoccata appaiono Intesa Sanpaolo e Mediobanca.
Il presidente dellAuthority ha considerato alcuni board «ipertrofici», denunciando la tendenza ad «attribuire al consiglio di sorveglianza ampi poteri deliberanti» su operazioni strategiche, piani industriali e finanziari. Da qui la soluzione di creare una sorta di comitato audit, a cui affidare le funzioni di controllo prima svolte dal collegio dei sindaci, uno dei quali dovrebbe poi assistere ai lavori del consiglio di gestione, ha ipotizzato Cardia nella cui proposta si intravede linvito ai grandi soci di lasciare spazio a una cellula di tecnici. Una linea «sostanzialemente condivisibile», secondo Corrado Faissola, che oltre a presiedere lAbi siede al vertice di Ubi, mentre più diplomatico è apparso Cesare Geronzi: «Andiamo avanti, è tutto ancora sperimentale», ha commentato il neopresidente di Mediobanca dopo aver seguito lintervento di Cardia dalla platea insieme allad Alberto Nagel e al tandem Giovanni Bazoli-Corrado Passera per Intesa Sanpaolo. Il presidente della Consob ha quindi spronato il sistema (a Palazzo Mezzanotte oltre al ministro del Tesoro Tommaso Padoa-Schioppa cèra il gotha della finanza nazionale) a sfruttare loccasione della superborsa Milano-Londra e quindi implicitamente le banche a mantenere la presa sul capitale. Infine la denuncia, malgrado le scatole cinesi siano in calo, di un mercato ancora ingessato dai patti di sindacato (nel 2006 pesavano per il 22,3% della capitalizzazione di Piazza Affari).
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