E tra i democratici scoppia la rissa: i big si azzuffano per le poltrone

Giuseppe De Bellis

nostro inviato a New York

Seggiole e poltrone: la battaglia è cominciata presto. Avanti che forse c’è posto per tutti. Prima di vincere le elezioni di mid-term, i democratici americani hanno deciso di litigare tra loro. Potere: chi sarà lo speaker della Camera dei rappresentanti, chi il capogruppo del partito, chi il nuovo organizzatore delle primarie. Lo spoil system preventivo: a una settimana dal voto, pare che il posto del futuro conta più del successo del partito. Così Nancy Pelosi sa che sarà lei la prossima presidente della Camera.
Su questo c’è poco da discutere. All’apparenza sono tutti d’accordo: la terza carica istituzionale d’America, Nancy se l’è conquistata sul campo. Da quando è stata eletta leader del partito, quattro anni fa, ha rivitalizzato le casse raccogliendo oltre 100 milioni di dollari. A lei si attribuisce il merito di avere restituito ordine e compattezza a un partito tradizionalmente frammentato e indisciplinato come quello democratico: sotto la frusta dell’inflessibile Nancy i deputati hanno votato uniti quasi al 90 per cento in occasione dei confronti più importanti alla Camera con i rivali repubblicani, tradizionalmente più compatti e più pronti a seguire la linea del partito.
Adesso che ognuno gioca per sé, i grandi meriti della Pelosi s’afflosciano come una torta di mele venuta male: dietro di lei si scatena la battaglia. Tutti contro tutti. Sgambetti e vigliaccate che ieri sono finiti sul Washington Post: John Murtha vuole diventare leader del partito alla Camera, stesso posto che vuole anche Steny H. Hoyer. I due già non si sopportano: Murtha, a 73 anni, è il veterano dei marine che più s’è battuto al Congresso contro la guerra in Irak. Ha fatto campagna anti-Bush, ha chiesto una mezza dozzina di volte il ritiro immediato delle truppe. Hoyer l’ha sempre contrastato: «Un ritiro precipitoso dall’Irak potrebbe causare un disastro». Ora il problema è questo: Murtha è amico della Pelosi, la quale però ha avuto come collaboratore negli ultimi anni Hoyer.
Non se ne esce, per il momento. Si formano gli eserciti: Murtha racimola i suoi uomini, Hoyer anche. La poltrona è troppo importante. Non se ne esce anche perché sotto la lava è incandescente. Il deputato dell’Illinois Rahm Emanuel coltiva l’ambizione di diventare il prossimo majority whip: è la seconda carica del partito alla Camera. Ha il compito di coordinare il voto dei parlamentari: è un lobbista legale, uno che deve convincere tutti che si deve fare come leader comanda. Peccato che per farlo deve essere uno autorevole: deve avere il riconoscimento di tutti i deputati. Emanuel non ce l’ha. Anzi, la poltrona che cerca la vuole anche James Clyburn del South Carolina, oggi capo della macchina dei Democrati Caucus, i gruppi di elettori democratici che per primi votano le primarie del partito. Clyburn è afroamericano ed è anche l’unico nero con una posizione di peso nella gerarchia democratica. I liberal hanno paura di perdere l’elettorato di colore, allora la faccenda si complica.
Seggiole, potere, rivalità. Vincere non significa andare d’accordo. I democratici si complicano la vita. L’hanno fatto con le primarie del Connecticut, dove hanno spinto per la vittoria del miliardario ambientalista Ned Lamont contro il veterano del Senato Joe Lieberman. Hanno ottenuto il contrario di quello che speravano: Lieberman, ex candidato alla vicepresidenza con Al Gore, si presenta da indipendente. E vincerà. Tutti zitti, compresa Hillary Clinton. Anche lei ha nemici interni. Una, in particolare: Elizabeth Edwards, moglie di John, ex candidato alla vicepresidenza trombato insieme a John Kerry nel 2004.
La signora Edwards si è confidata in un’intervista: «Apparteniamo alla stessa generazione, abbiamo studiato da avvocato, abbiamo sposato altri avvocati con ambizioni politiche, ma le mie scelte mi hanno reso più felice di lei, mi hanno dato più gioia delle sue».

Un modo gentile per dire che l’ex first lady ha fallito come moglie e allora adesso cerca di diventare presidente. Non c’è cattiveria, no. C’è solo che Beth spera che il marito arrivi alla Casa Bianca prima della sua amica.

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