E i finiani ora tremano: «Non avremo esagerato?»

RomaAdesso aumentano, nel Fli, quelli che imputano a Fini di aver schiacciato troppo sull’acceleratore dell’antiberlusconismo. Van bene i gruppi autonomi; van bene le critiche al governo; van bene i distinguo sui casi Brancher, Cosentino, intercettazioni e lodo Alfano; va bene perfino la richiesta di dimissioni del premier e il ritiro dei quattro governativi dall’esecutivo; va bene mostrare i muscoli e chiedere di resettare tutto e ripartire con un colpo d’ala tirando dentro pure l’Udc ma... «Non è che stiamo correndo troppo?».
Tra i futuristi continua la battaglia interna tra le tante anime e i mugugni su come gestire lo strappo con gli ex alleati si fanno più intensi. In molti fanno la fila per bussare alla porta del presidente della Camera ed esprimere non poche perplessità sulle mosse future. Specie quelle ventilate da alcuni falchi che sarebbero pronti ad alleanze con il Pd pur di fare il funerale politico al Cavaliere. Il nodo principale sta nella mozione di sfiducia calendarizzata il prossimo 14 dicembre. Dai sette ai dieci finiani alla Camera non sono affatto convinti di prendersi la responsabilità di staccare la spina a questo governo. Un po’ per convinzione, un po’ per tattica spicciola, un po’ per strategia politica. Per convinzione: c’è chi ha dato la parola che non si sarebbe mai spinto a tanto e non se la sentirebbe di reggere il macigno sulle spalle dell’accusa di aver tradito così tanto il mandato elettorale. Per tattica: qualora dopo lo show down in Parlamento si andasse alle elezioni anticipate e non nascesse un altro governo, la rielezione sarebbe rischiosa. Per strategia politica: sempre qualora dal patatrac a Montecitorio non uscisse un nuovo esecutivo, il Fli dovrebbe per forza correre all’interno del terzo polo. E per chi ha cultura e storia ben ancorate a destra sarebbe un bel boccone amaro da buttar giù. Chi ha un passato missino e aennino alle spalle teme che nello scenario futuro le proprie radici affondino nel terriccio centrista.
I nomi di quelli titubanti nell’opera di killeraggio di questo esecutivo sono noti e vanno da Catia Polidori a Silvano Moffa; da Roberto Menia a Donato Lamorte; da Carmine Patarino a Gianfranco Paglia; da Andrea Ronchi a Giuseppe Consolo e qualche altro. Sono tutti quelli che, assieme al senatore Pasquale Viespoli, spingono sul proprio leader perché metta da parte qualche personalismo di troppo e pregano affinché, dall’altra parte, Berlusconi faccia lo stesso. Paradossalmente oggi proprio loro risultano essere i più accaniti tifosi della Lega alla quale riconoscono il ruolo di mediatrice: «Vedrà che Bossi riuscirà a convincere il presidente che andare alle elezioni sarebbe una follia», ammette un anonimo finiano. Ma se l’asse Berlusconi-Bossi sulla linea «o fiducia o urne» dovesse rimanere salda come pare, per i finiani sarebbe davvero dura. Riusciranno ad essere tutti compatti nel momento dell’«ora X»?
Nell’attesa i futuristi, per non palesare le proprie spaccature interne su un altro passaggio fondamentale, decidono di non decidere sulla mozione di sfiducia al ministro Bondi, prevista per il prossimo 29 novembre alla Camera. Siparietto nel cortile di Montecitorio, tre deputati fillini scherzano ma mica poi tanto: «Io voterei contro», «Io mi asterrei», «Io mi darei malato». Mancava il quarto a dire «Io lo appoggerei» e sarebbe stato il top. Così, sentito il capo, si sceglie la linea mediana: non partecipare al voto.

«Non avrebbe senso, in presenza di una crisi e di fronte ad una mozione di sfiducia allo stesso governo, concentrarsi sulla sfiducia ad un singolo ministro», spiegano. E Bocchino assicura: «Non scateneremo la guerriglia né su Bondi né sul ritiro delle deleghe a Calderoli».

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