E i sindacati affossano Pomigliano

Scioperi e blocchi mettono a rischio il futuro della fabbrica appena rinnovata. Verso un declassamento

A Pomigliano d’Arco va in scena il lento suicidio di uno stabilimento che, nei piani di Sergio Marchionne e dopo gli investimenti che ne hanno cambiato il volto, sarebbe dovuto diventare un impianto modello del gruppo Fiat. A due mesi dalla ripresa dell’attività, invece, la fabbrica intitolata a Giambattista Vico continua a «produrre» più problemi che automobili. E il fatto che il Lingotto abbia deciso di credere nella realtà napoletana, destinando 110 milioni all’ammodernamento di un sito che da sempre ha rappresentato una spina nel fianco, non sembra aver sedato le contrapposizioni sindacali. In quello che ieri il Manifesto ha definito «uno degli ultimi baluardi delle fabbriche nel Sud» l’impressione è che si faccia di tutto perché, alla fine, i vertici della Fiat rivedano i piani produttivi previsti. E così, alla fine, quando il suicidio sarà completato il «Giambattista Vico», anziché ritrovare l’erede dell’Alfa 147 (la futura 149 sarebbe destinata alla linea che attualmente sforna anche la Bravo ed è condivisa con Cassino) insieme ad altri modelli di punta del gruppo, andrà incontro a un declassamento.
In pratica, dalla serie A che ha faticosamente raggiunto, il sito verrebbe retrocesso senza ulteriore appello. E si vedrebbe dedicato a produzioni di minore appeal (i furgoni, per esempio, hanno un iter meno complesso dovendo privilegiare la praticità d’uso). I programmi per assicurare a Pomigliano un futuro ci sono: lo stabilimento è stato messo nelle condizioni di trasformarsi in un centro di eccellenza che risponde ai criteri del World Class Manufacturing, il lavoro non manca e in prospettiva aumenterà. E non mancherà nemmeno per i 316 dipendenti destinati alla vicina Nola, con il compito di fornire sistemi just-in-time alle linee di montaggio. Proprio il trasferimento (che non è un licenziamento) di queste persone nel vicino interporto ha dato lo spunto al sindacato per scendere in guerra contro la Fiat, organizzando scioperi e mettendo in discussione il futuro della fabbrica e delle altre 5mila persone che vi lavorano. Il tutto anteponendo anacronismi ideologici a una pragmatica presa d’atto della realtà e del mutare dei tempi.

D’altronde segnali sulla necessità di cambiare rotta il sindacato ne sta ricevendo dentro e fuori le fabbriche. Agli operai, parole e ideologismi non servono più. Per scongiurare il «suicidio» di Pomigliano c’è ancora poco tempo. L’operazione in Serbia docet.

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