E intanto Firenze affonda trascinata dalle liti nel Pd

FirenzeIl commissario Vannino (nel senso di Chiti, vicepresidente del Senato), il golpe bianco siglato Fioroni e un sindaco che non c’è (Leonardo incatenato). È l’ultima istantanea del Partito democratico da Firenze dove, dopo mesi di discussioni animate e «contrordine compagni», in un pugno d’ore si è ri-passati dalle primarie di partito a quelle di coalizione, con tre candidati del Pd su quattro che già avevano fatto conferenze stampa per dire: ci misuriamo all’interno del nostro elettorato. Ovvero del partito che non c’è. Sullo sfondo dell’inchiesta sul piano Castello (166 ettari sotto sequestro, due assessori indagati per corruzione) che ha scatenato un feroce regolamento di conti interno al partito.
Per questo Veltroni ha deciso ieri di mandare un uomo di fiducia, ovvero Chiti (che non vuol correre per il dopo-Domenici) a «vigilare» sulle primarie. Commissariando di fatto il debole coordinatore cittadino Billi che per mettere fuorigioco Graziano Cioni (lo «sceriffo» indagato) un mese fa chiese una mano agli alleati. E in serata è giunta pure una nota da Roma (firmata Fioroni) nella quale si ripristinano definitivamente le primarie di coalizione, in barba all’assemblea cittadina che non le aveva votate, stando a quanto ufficialmente dichiarato dalla presidenza.
Non è uno scherzo. È una farsa ai danni di Firenze, paralizzata da tre mesi su ogni scelta proprio per il balletto delle primarie. Una novella dello stento che cristallizza i veri valori della sinistra: l’attaccamento alla poltrona, non certo alla città. Per capirci qualcosa - tra lotte intestine, regolamenti e interpretazioni - servirebbe un navigatore satelittare. Perché mentre una Penelope cattocomunista si diverte a giocherellare con la tela delle primarie, a Palazzo vecchio tutto è fermo. Il Piano strutturale è stato bloccato dal sindaco Domenici in attesa di un chiarimento nella maggioranza che manca dal 24 novembre - ultima apparizione del primo cittadino in consiglio comunale (appena scoppiato l’affaire Castello, si dimise l’assessore all’urbanistica Biagi, indagato; poi è stata la volta di un altro assessore «dimissionato» dal Pdci) - nuovamente rinviato (si doveva tenere ieri) alle prossime ore.
Così in un gelido venerdì d’inizio anno si è replicato il nauseabondo gioco delle tre carte in riva d’Arno. Dopo che l’ennesima assemblea cittadina del Pd giovedì notte aveva partorito il «sì alle primarie» del 1° febbraio convinta di una votazione interna. Con la base spaccata tra chi non vuole ingerenze veltroniane e quanti - i segretari regionale (Manciulli) e cittadino (Billi) - erano pronti a far rispettare il mandato capitolino: sì alle consultazioni di coalizione, utili per stemperare i contrasti interni al Pd. Nel mezzo di tutto. A iniziare dalla parabola discendente dello «sceriffo dalla stella spuntata», il Cioni ex comunista, escluso dalla competizione perché indagato e quindi «indegno» di correre per la poltrona di primo cittadino, ma «degno» di restarsene nella giunta Domenici. Un non senso? Uno dei motivi per cui Firenze, questa Firenze, merita il declino cui si è votata da un ventennio a questa parte, scegliendo sempre e solo a sinistra. Il tutto mentre gli altri candidati democratici se le danno di santa ragione sui giornali: Daniela Lastri (gradita all’oligarchia comunale), Matteo Renzi che a colpi di slogan ha conquistato le paginate nazionali invocando il cambiamento, contro Lapo Pistelli - da una ventina d’anni in politica - a dire «il cambiamento sono io» dimenticandosi di avere in squadra sei assessori dell’attuale giunta.
Attorno ai cocci del vaso del Pd, un florilegio di candidature e dichiarazioni che ricordano i distinguo, le convergenze parallele, la melassa post-sessantottarda.

Prima Tea Albini, assessore al Bilancio della squadra di Domenici, schierata da Cioni in sua vece, poi dimissionaria nella corsa per Palazzo vecchio per far posto, di nuovo, allo «sceriffo» convinto di correre per le primarie di partito e che - davanti al nuovo colpo di scena romano - promette ora una scissione. Tutti in corsa, disperatamente. Mentre Firenze affonda, trascinata dall'implosione del Pd.

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