Politica

E l’Africa dice: «Grazie Bush»

Forse non sanno chi è Barack Obama, idolo dei neri americani, che la nonna africana l’ha tenuta nascosta nel villaggio perché gli rovinava l’immagine della campagna, ma sanno di dovere la vita all’arcinemico dei democrats e dei radicali americani. Sono prostitute, bambini, poveri del Benin, della Tanzania, del Ruanda, della Liberia, del Ghana. Il loro salvatore si chiama George W. Bush, appena arrivato in Africa per un viaggio di cinque giorni, a verificare gli esiti di un investimento rimasto piuttosto segreto, o volutamente ignorato, che si chiama «President’s emergency plan for aids relief», è entrato nel suo quinto anno, ha salvato un milione di persone dall’Aids, viene considerato dagli africani una vera rivoluzione. Non lo abbiamo letto con l’enfasi necessaria sui giornali americani, perché c’è la campagna elettorale, altre sono le priorità, e la faziosità si taglia a fette. Figuriamoci da noi: l’Africa o è piagnona, vittima dell’imperialismo e bisognosa di Emergency, o non si porta, gli Stati Uniti o grondano sangue, o hanno la faccia di Hillary la cinica, e si salva solo l’aria molto yuppie di Barack, il Veltroni d’Oltreoceano.
Però un giornale inglese come The Guardian, che più radicale non si può, per loro anche Tony Blair era un servo della destra, lo racconta per filo e per segno, senza timore di alcuna accusa di piaggeria, perché è la verità. Il pazzo guerrafondaio, il cowboy macellaio, ha varato e realizzato il programma di aiuti sanitari più importante dalla fine del colonialismo. Di più, quei Paesi sono ormai quasi in grado di fare da soli.
L’inviato del Guardian lo spiega bene, soprattutto nella frase finale del reportage. In un affollato bar di Kigali, Linda, prostituta di ventiquattro anni, sieropositiva, spiega che aveva tanta paura di fare il test e scoprire che sarebbe morta in breve tempo. Ma i medici del programma le hanno spiegato di avere le medicine necessarie per curarla. Così ora sta bene. Chi ringrazia? «Gli americani, George Bush ci ha aiutato a vivere».
La posizione del Guardian è tanto più interessante perché segue a una polemica dei democratici americani, che hanno accusato il programma di essere troppo ispirato dai cristiano evangelici, di predicare l’astinenza e la fedeltà come metodi principali, mettendo l’uso del condom solo al terzo posto, e di essere affidato solo a operatori cristiani o cattolici. Dimenticano che le chiese sono luogo di raduno in quelle zone e che sono il veicolo più rapido di informazioni e di educazione.
Ma Bush, che raccolse l’idea dall’ex segretario di Stato, Colin Powell, che gliela presentò come una questione di sicurezza nazionale, ha dovuto in questi anni combattere e forzare il blocco soprattutto dei senatori repubblicani più conservatori, che non ne vogliono sapere di massicci investimenti all’estero. Il presidente ha pure invitato il Congresso a sostenere le iniziative nel settore sanitario, raddoppiando gli aiuti nella lotta all’Aids nei prossimi cinque anni, portandoli a 30 miliardi di dollari (20 miliardi di euro), e aumentando il sostegno al programma contro la malaria, che mira a dimezzare il numero dei decessi in 15 Paesi.
Nel discorso tenuto alla vigilia del viaggio, George W. non sembrava un presidente suonato, bolso, che aspetta solo la fine del secondo e ultimo mandato, come ce lo raccontano giornalisti disonesti. Un po’ perché tutti i presidenti americani cercano di essere degni dell’incarico fino all’ultimo, un po’ perché rivendicava un intervento e un successo nel miglior american style. Investitori e non donatori, nessun paternalismo, ma rapporti e richieste fra pari, pretesa di risultati misurabili. Come risultato, un’assistenza sanitaria che raggiunge il settanta per cento della popolazione di quei Paesi.

Gli toccherà passare alla storia anche per questo all’uomo più odiato del West.
Maria Giovanna Maglie

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