E l’arte sacra torna a toccare il cielo

L’arte sacra non è proprio «arte applicata», semmai «implicata», ossia coinvolta e inclusa in qualcosa di più grande. Accompagna l’uomo nei pressi dell’Eterno, cerca di illustrare il mistero incarnandolo. Ecco perché l’artista, secondo Vittorio Sgarbi, più che un medium è «divinità egli stesso, in quanto creatore dell’opera d’arte».
Una pesante responsabilità, dunque, quella di progettare chiese e arricchirle all’interno con altari, pitture, statue, vetrate, oggetti liturgici. Responsabilità assunta con un po’ di lassismo dagli artisti e dalla Chiesa stessa negli ultimi decenni. Il pontificato di Benedetto XVI ha finalmente risvegliato l’attenzione per aspetti a lungo considerati meramente formali, appena accessori alla vita ecclesiastica. Ancora si edificano brutte chiese, talvolta firmate da archistar che sacrificano la funzionalità del tempio e il rispetto per la tradizione al loro estro creativo. Probabilmente non è un caso che spesso questi architetti di fama si definiscano atei o al massimo agnostici. Eppure, l’invito fatto agli artisti dalla Chiesa di Ratzinger per una rinnovata collaborazione sta raccogliendo i primi buoni frutti. Lo testimonia ampiamente il volume L’ombra del Divino nell’arte contemporanea (Cantagalli, pagg. 240, euro 18,90, in libreria dal 21 gennaio).
Il libro descrive la rinascita della Cattedrale di Noto, dopo il crollo del 1996, attraverso il «Programma iconografico» steso da monsignor Carlo Chenis e le indicazioni «liturgico-teologiche» di monsignor Mariano Crociata. Raccoglie il commento di Antonio D’Amico a lettere e discorsi indirizzati agli artisti dal pontefice regnante, da Paolo VI e da Giovanni Paolo II. Sulle ultime ore di quest’ultimo, grande artista lui stesso, compare nel volume una preziosa testimonianza del cardinale Stanislaw Dziwisz, all’epoca sua segretario privato. Numerose illustrazioni a colori ci fanno conoscere le opere degli «Artisti per Noto e altrove» (per ognuno di loro Stefano Saponaro ha scritto una breve biografia), una mostra tenuta a Venezia nell’autunno scorso nell’ambito della Biennale. Il curatore di quella mostra, Vittorio Sgarbi, firma il lungo saggio che dà il titolo all’intero volume.

Non mancando di citare i fondamentali scritti liturgici di Ratzinger, Sgarbi fa chiarezza anche per i non «addetti ai lavori» sul giusto rapporto fra arte e liturgia, racconta la crisi novecentesca e postconciliare di questo equilibrio e indica i segnali più incoraggianti dell’arte «implicata» presente e futura. Sempre, beninteso, rivolta all’Eterno.

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