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E l’inaugurazione della kermesse si tinge di verde padano

da Torino

C’è anche chi ha conservato il potere senza perder tempo ad appropriarsi della cultura di un territorio, tuttavia ieri all’inaugurazione del Salone del Libro di Torino non è andata così, tanto è stata trasparente la volontà della Lega di «prendere possesso» di ogni singola zolla culturale del Piemonte. Roberto Cota, presidente leghista della Regione, nel suo discorso di apertura è partito subito in quarta: «C’è stato un esempio sbagliato, il Grinzane Cavour, e c’è un esempio positivo, il Salone del Libro. Quest’ultimo rappresenta il giusto equilibrio tra global e local, e per tale motivo non lesineremo finanziamenti alle future edizioni. La difesa dell’identità non è affatto una battaglia di retroguardia». Ancora più diretto, tra le file degli spettatori (ma comunque in veste più che ufficiale a giudicare dal numero di autografi che gli hanno chiesto, apposti sulle copie della rivista Idee che egli stesso distribuiva, edita dalla Fondazione Federalista per l’Europa dei Popoli), il leghista Mario Borghezio: «Dedicheremo attenzione - ci ha detto - soprattutto alle piccole case editrici piemontesi. Sono loro che hanno bisogno di aiuti, non certo le grandi. Ogni nostra iniziativa avrà una ricaduta economica specifica sul territorio, ingessato per anni in un multiculturalismo sterile». Un esempio di ciò, potrebbe essere il bonus da 50 euro «da spendere tutto in libri - come ha annunciato Cota -. A partire dall’anno prossimo verrà elargito a ragazzi e ragazze che compiono sedici anni». Una potenzialità di spesa, per quanto esigua, su cui non tarderà ad appuntarsi l’attenzione dei piccoli editori locali, che già si avvantaggiano di un giro di affari intorno al Salone di 52 milioni di euro (più 384 posti di lavoro temporanei creati in città). Dopo i discorsi inaugurali (presenti il ministro del Lavoro Mauro Sacconi, il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Maria Giro, diversi politici eletti alla Provincia o alla Regione), Cota è «sceso tra la sua gente» per un percorso strategico che l’ha visto toccare spazi espositivi di editori «sensibili» alla politica leghista (il veneto Marsilio, per esempio), alcuni stand di pasticceria piemontese e di letteratura per bambini (dove ha acquistato due libri per sua figlia), oltre che quelli di Camera, Senato e di diversi ministeri. Poco distante, Sacconi, arrancando dietro a Cota, soppesava per un istante Che fare? di Lenin.
Le sfide per la politica culturale leghista, comunque, saranno ardue: all’orizzonte, come ha raccontato Ernesto Ferrero, c’è una digitalizzazione del sapere che è parimenti un’opportunità e un pericolo: non sarà facile conciliare trend «very global» con una politica molto concentrata sul Piemonte («che, grazie al suo statuto - ha detto Cota - potrà essere la prima regione a sperimentare il federalismo fiscale»).


Era molto atteso all’inaugurazione anche Renzo Bossi, detto «la Trota», figlio del senatùr Umberto, a complemento forse di una precisa strategia di presenze leghiste al Salone, ma alla fine non è arrivato. Forse, come raccomandava Pascal, è rimasto a casa a leggere.

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