E l’ulivista Debenedetti scrive un libro per demolire la legge Gentiloni sulla tv

L’ex senatore del centrosinistra: illiberale il tetto del 45% ai ricavi pubblicitari. E la Commissione europea gli dà ragione

Definire in «posizione dominante» le imprese che superano la soglia del 45% dei ricavi pubblicitari complessivi del settore televisivo non è coerente con la normativa comunitaria. Punto. Non potrebbe essere più secca la bocciatura che Philip Lowe, direttore generale della Concorrenza della Commissione Europea, fa del disegno di legge 1825 del ministro Paolo Gentiloni. Un mese prima alla medesima conclusione era arrivato un interessante saggio di Franco Debenedetti: «quarantacinque per cento», appunto. Stabilire in modo rigido, con una soglia numerica, la posizione dominante, senza lasciare alle Autorità indipendenti la facoltà di decidere caso per caso le condizioni e le modalità per applicare tale qualifica, viola le procedure di garanzia a difesa del mercato che si sono consolidate nel diritto comunitario.
La legge Gentiloni contiene una prescrizione netta: avere più del 45% dei ricavi pubblicitari del settore televisivo costituisce posizione dominante vietata, e pertanto deve essere sanzionata dall'Autorità Garante delle Comunicazioni, usando il potere che la legge gli conferisce di imporre sanzioni micidiali.
I ricavi di Mediaset derivano al 100% da pubblicità, quelli della Rai per metà (approssimando un po’ brutalmente) dal canone e per metà dalla pubblicità. Dunque se ci fossero solo Mediaset e Rai, per avere una perfetta parità, senza che nessuno domini sull'altro, Mediaset dovrebbe avere ricavi pari al 75% del totale (in realtà ne ha il 65% circa). La legge Gentiloni impone dunque a un'impresa privata, quotata, che non ha violato nessuna legge dello Stato, l'amputazione di un 25% del suo fatturato. A chi glielo faceva notare, Romano Prodi aveva risposto ridacchiando che il 45% gli sembrava perfino tanto!
Il fatto non ha precedenti. Ci sono casi in cui l'Antitrust ordina la separazione di attività (è successo all'americana AT&T) o di prodotti ( è successo a Microsoft), ma il concetto stesso di dire a un’azienda di vendere di meno è aberrante in un’economia basata sulla concorrenza. Il disegno di legge Gentiloni prevede anche altre cose, il passaggio al digitale di una rete ciascuna per Rai e Mediaset e sposta dal 2007 previsto dalla Gasparri al 2012 la data per il passaggio definitivo al digitale terrestre. Ma è quest'obbligo a ridurre il proprio fatturato che ha colpito fin dall'inizio gli analisti.
Franco Debenedetti, per tre legislature senatore dell'Ulivo, e ora editorialista per il Sole24Ore, ha pubblicato da Rubbettino un libretto, in libreria dai primi giorni di aprile, che prende in esame proprio questo aspetto della legge Gentiloni e che si intitola «Quarantacinque percento». Sottotitolo: «una critica liberale al progetto Gentiloni sulla Tv». Dapprima esamina e smonta una per una le ragioni che il legislatore adduce per giustificare il suo proposito a dir poco illiberale. Poi dimostra perché il prendere in esame ai fini antitrust il solo mercato della pubblicità televisiva, rivela una concezione vecchia e superata da un decennio, che conduce a risultati fuorvianti. Infine calcola il danno che la norma arrecherebbe sia alle imprese che usano la pubblicità per le proprie strategie di marketing, sia ai consumatori.
Al libretto è allegata una mappa di tutti i canali digitali che si ricevono in Italia: ne escono ridicolizzati quanti sostengono che in Italia non ci sia pluralismo televisivo.


Un mese dopo che il «quarantacinque percento» di Debenedetti era sugli scaffali delle librerie, è arrivata sul tavolo delle redazioni dei giornali la bocciatura di Bruxelles. Toni diversi, naturalmente, diplomatico quello di Lowe, appassionato quello di Debenedetti: ma la sostanza è la stessa.

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