E «L'Unità» rivela: così Pertini salvò un gerarca di Salò

Un'inchiesta rivela: nella casa del futuro Capo dello Stato trovò rifugio dopo la Liberazione uno dei capi delle milizie di Mussolini

Una colpo alla botta dello stomaco. Una sassata contro uno dei monumenti più intonsi dell'antifascismo italiano: Sandro Pertini, il partigiano-presidente, morto nel 1990. E a fare ancora più effetto è che a lanciare il sasso sia l'Unità, il quotidiano fondato da quell'Antonio Gramsci che con Pertini condivise battaglie ed esilio. Proprio l'Unità, nell'edizione del 28 aprile, racconta che subito dopo la Liberazione un gerarca di Salò, il comandante della temuta Guardia Nazionale Repubblicana, viveva a Milano sotto falso nome nel più insospettabile dei rifugi: la casa di Carla Valtolina, compagna di Sandro Pertini.
La rivelazione è contenuta all'interno di un ampio servizio di Aldo Giannuli, uno dei più noti esperti italiani di storia dei servizi segreti, consulente della magistratura milanese nell'indagine-bis sulla strage di piazza Fontana. Tanto il quotidiano che l'autore sono difficilmente sospettabili di simpatie revisioniste. Però i documenti su cui Giannuli basa il suo racconto appaiono decisamente solidi. E lanciano una luce nuova non solo su Pertini ma anche sul ruolo dei socialisti italiani nell'ultima fase della Seconda Guerra Mondiale, quando elementi della Repubblica di Salò avviarono contatti con la parte «moderata» della Resistenza per tentare una via d'uscita alla crisi senza sbocchi della Rsi e contemporaneamente spaccare il Comitato di liberazione nazionale, il comando unico della formazioni partigiane.
Si tratta di una storia già scritta in alcune occasioni ma circolata solo tra gli addetti ai lavori, o poco più. A guidare l'operazione furono Junio Valerio Borghese, capo della Decima Mas, il capo della «Ettore Muti» Franco Colombo (fucilato alla Liberazione) e pochi altri: tra questi, il generale Nunzio Luna, della Guardia nazionale repubblicana. Giannuli, sulla base di alcuni documenti usciti recentemente dagli archivi dei «servizi», racconta che in quello stesso periodo il Partito socialista avviò un'opera di infiltrazione all'interno delle formazioni repubblichine. Il quadro, insomma, è quello di una «zona grigia» venutasi a creare nei mesi più cupi della guerra: mentre lo scontro aperto raggiungeva le punte di maggiore violenza e anche di crudeltà, un lavorio sotterraneo collegava i due fronti contrapposti.
Rapporti che proseguono anche all'indomani del 25 aprile. Ed è qui che arriva la sensazionale rivelazione di Giannuli. «Il 7 febbraio 1946 un reparto della polizia ausiliaria, composto da partigiani, traeva in arresto il generale Nunzio Luna, che viveva sotto falsa identità in una casa di Milano (rapporto del 9 febbraio 1946 del servizio speciale del ministero dell'Interno). Nulla di strano se la padrona di casa non fosse stata Carla Voltolina, futura moglie di Sandro Pertini, e se lo stesso Luna non avesse dichiarato che Pertini era perfettamente a conoscenza della sua vera identità e che lo aveva nascosto per ringraziarlo dei servigi resi durante la guerra di Liberazione. Nell'abitazione di Luna vennero trovati anche documenti sulla situazione interna al Partito socialista ed un mazzetto di assegni firmati da Bonfantini». Si tratta di Corrado Bonfantini, comandante delle Brigate Matteotti, i reparti partigiani socialisti.
«É plausibile - conclude Giannuli - che le esigenze della lotta clandestina abbiano imposto molti di questi negoziati sotto banco, anche in nome di ragioni in sè nobili». Affermazione assolutamente condivisbile.

Ma ciò non toglie che il dettaglio sconosciuto della biografia di Pertini, quando si avvicina il ventesimo anniversario della scomparsa dell'ex Capo dello Stato, non combaci del tutto con l'immagine di intransigenza assoluta tramandata dalle agiografie ufficiali.

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