A cinque minuti dalla fermata di Bovisa e 400 passi dalla sede del Politecnico di Milano c'è un ex opificio che sta per essere trasformato in un Urban Village. I lavori inizieranno a metà ottobre e ne usciranno una trentina di appartamenti. Cosha di particolare? È uno dei primi progetti Italiani di cohousing, cioè di abitazioni private con servizi condivisi. Nei fatti, il vecchio edificio industriale ospiterà un gruppo di una trentina di famiglie che, fino a un anno fa, non si conoscevano e ora si incontrano per progettare tutti insieme la loro futura casa. Che non sarà la «comune» ideologica dei tempi passati e neanche il condominio, dove finisce che i coinquilini vivono da perfetti estranei. Ma sarà una via di mezzo: un vicinato elettivo dove i vicini si conoscono e condividono degli spazi e del tempo. Proprio sul modello del cohousing, che è nato nel Nord Europa negli anni '60 e sta sempre più diffondendosi in America, Canada, Australia e nelle società industriali mature.
I futuri abitanti dell'Urban Village Bovisa sono una popolazione piuttosto eterogenea. Giornalisti, grafici, bibliotecari, impiegati e liberi professionisti di età diverse: ci sono giovani coppie tra i 30 e i 40 anni, famiglie con bimbi, single e una cinquantenne con figlio grande. Hanno già deciso che, molto probabilmente, nello spazio da condividere (ben 700 mq) ci sarà una piscina all'aperto. Potrebbero aggiungerci una camera per gli ospiti da usare a turno, una sala riunioni, una lavanderia, un locale per le feste magari con cucina professionale e chi più ne ha più ne metta.
Fenomeno isolato? Niente affatto. Un'esperienza simile è pronta a partire anche ad Abbiategrasso, dove 20 famiglie si «costruiranno» una casa nel verde a risparmio energetico, con orto, asilo nido, lavanderia, spazio hobby condivisi, decidendo tutto insieme dall'architettura alla distribuzione degli alloggi, fino alla scelta dei materiali.
E, soprattutto, c'è una gran voglia di condividere l'abitazione con altri. Una ricerca svolta pochi mesi fa dall'agenzia per l'innovazione sociale Innosense Partnership e dal dipartimento Indaco del Politecnico di Milano, promotori del villaggio urbano, non lascia dubbi. «Oltre 3000 persone, solo nella zona di Milano, ci hanno risposto entusiasticamente sul progetto di cohousing e hanno lasciato la loro e-mail per costruire una comunità d'interesse», conferma Ezio Manzini, il docente del Polimi responsabile dell'inchiesta.
Ma il fenomeno non riguarda solo Milano. Il sito www.cohousing.it pubblica decine di annunci di persone di ogni genere, provenienza ed età, con tanto di foto online, che cercano «vicini in casa». Come Barbara di Ancona che scrive: «Sono single, ma ho già alcuni amici interessati a creare un condominio umanamente sostenibile». O Anita e Flaminio di Torino che credono «in una comunità multigenerazionale, con un equilibrato mix tra bambini, giovani, adulti e anziani». O ancora Claudia che, dovendo cambiare casa perché suo figlio è in procinto di sposarsi, è affascinata dalle opportunità di «vita sociale» offerte dal cohousing.
«C'è questa domanda perché aumentano le persone che vivono isolate dalla famiglia originaria e dai vicini, cosa che crea problematiche di tipo psicologico ed economico», commenta il professor Mancini.
L'altra faccia della medaglia è che, per convivere bene insieme, bisogna rispettare le regole della comunità. Per intendersi, la lavatrice in comune è comodissima, ma se la donna dei tuoi sogni ti dà appuntamento il giorno del bucato hai solo due possibilità: o le dici di no oppure tieni la biancheria sporca in casa per un'altra settimana. E questo solo per fare un esempio.
Ma il tutto è superabile, in nome della motivazione e di un indiscusso risparmio economico.
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