Tre voli cancellati domani per laeroporto di Brescia. Ma non solo. Altri sospesi a tempo indeterminato il primo, il 7 e l11 ottobre. Da Minsk, Gomel, Brest non si parte più. Soprattutto se si ha meno di 18 anni. Il governo del dittatore Lukashenko usa il pugno di ferro e blinda i bambini negli «internat» facendo loro disfare le valigie già pronte. Mille avevano già i documenti in regola per partire, ma nemmeno uno salirà su un aereo. E in tanti piangono - cè da giurarlo - anche perché a sei, sette, otto anni non si comprende il motivo di tanta crudeltà dei grandi.
Le «mamme» e i «papà» italiani da giorni ormai non hanno più notizie. I telefoni di Vilejka, ma anche quelli di molti altri orfanotrofi suonano a vuoto. Oppure, quando qualcuno risponde e gli si chiede di Ivan, Olga, Alexja ci si sente rispondere che «non ci sono», o che «non sono disponibili». È disperazione. E nella disperazione in tanti se la prendono con i due genovesi «colpevoli». Ma la realtà è che un governo che usa i propri bambini per esercitare pressioni su un altro Stato è un governo debole. Se le strade diplomatiche hanno fallito va anche indagato il motivo per cui è così difficile trattare con Minsk.
Un esecutivo che se la prende anche per molto meno di un bambino che non rientra. E che ha già preparato cinque ordini di cattura per chi a Vilejka ha firmato il via libera per lItalia a Maria.
Lo sa bene Fabrizio Pacifici, presidente dellAssociazione Aibi e membro del Comitato minori presso il ministero della Solidarietà sociale. Che pone una premessa: «Solidarietà ai Giusto, che non vanno criminalizzati». E racconta come lanno scorso egli stesso, da ventanni in contatto con la Bielorussia e responsabile di importanti progetti umanitari, abbia avuto una «notifica di espulsione» dal governo di Minsk. «Questo perché sul giornale della nostra associazione che viene spedito on line a tutte le famiglie associate - racconta - pubblicammo un articolo-racconto di una famiglia che era stata in Bielorussia e aveva visto con i propri occhi episodi di nonnismo e di violenza consumati in un orfanotrofio. Queste persone scrissero denunciando la propria esperienza che li aveva choccati. Ma in qualche modo in Bielorussia lo vennero a sapere».
La situazione si risolse soltanto grazie allintervento degli ambasciatori dei nostri due Paesi che spiegarono nelle sedi opportune che Pacifici era un amico della Repubblica di Belarus dove convogliava consistenti aiuti di tipo economico-umanitario.
«Occorre una mediazione che sblocchi il problema in maniera seria - spiega Pacifici - anche perché adesso non partono mille bambini, domani altri 34mila non arriveranno e intanto ci sono 450 famiglie con i documenti in regola che rischiano di veder saltare ladozione».
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