Si riapre il capitolo sul delitto di Aldo Moro. Quello stesso episodio che, giorni fa, ha rievocato anche il presidente del Consiglio richiamandosi alla seduta spiritica cui partecipò Romano Prodi e che, a tuttoggi, è ancora avvolta nel mistero. I fantasmi di quei giorni ritornano anche sulla carta: non per lennesima rivelazione o lennesimo saggio di studiosi e terroristi, ma attraverso un libro firmato da Valerio Morucci, tra i brigatisti che parteciparono alleccidio di via Fani.
A sorprendere è che Morucci, insieme a Moretti tra i personaggi più controversi di quelloscura vicenda, sia passato dal rosso al nero. Non si tratta di una nuova e più evoluta «sindrome di Stendhal», ma del debutto del brigatista come scrittore noir. Il suo Il caso e linganno (in uscita a maggio per Bevivino editore) è ambientato in una Roma ancora più nera: attraversata da misteri e trame oscure che si apre con una frase programmatica: «Prima che lignoto venisse colmato dalla presunzione, erano solo la Verità e il Nulla. Poi la Verità inondò il Nulla di luce creando lUniverso». Unepigrafe insolita, quasi da decriptare malgrado lapparenza di misticismo. Anche perché Moretti conclude scrivendo: «Il caso sopraggiunse attraversando i milioni di fili che portano nel sottosuolo le voci della vita, e quella della morte, per poi farle riemergere e ricongiungere, falsate ma vere, al loro destino. Linganno, invece, come gli è connaturato, si sarebbe presentato di lì in poi sotto mentite spoglie».
Daccordo, è linizio di un romanzo, di un noir, come si è detto, ma queste parole si possono prestare a varie interpretazioni. Al lettore lasciamo il compito di decriptare quello che sembra un messaggio in codice. A Prodi, quello di ritrovare i suoi spiriti negli armadi...
A colpire, però, è soprattutto il linguaggio usato da Moretti in tutte le pagine: lo stesso Morucci che in memoir come Ritratto di un terrorista da giovane (Piemme, 1999) o in La peggio gioventù. Una vita nella lotta armata (Rizzoli, 2004) aveva (ri)percorso il suo «cammino di fede brigatista», in questo romanzo sembra riavvicinarsi a quel mondo. Non ne scrive, ma molti dei termini impiegati riportano alla memoria una «grammatica» da comunicati-ciclostile anni 70.
I poliziotti sono tutti «sbirri», per lo più inefficienti, «con occhi stretti e neri, sarcastici e diffidenti». Alcuni dirigenti della polizia tornano ad essere implicati in una sorta di nuova P2. Scrive Morucci: «Era venuto a galla il coinvolgimento in unoscura associazione di affaristi e alti funzionari dedita a traffici tuttaltro che legali». Flashback dove viene rimarcata «larroganza della Digos» e dei «questurini lardosi» e passaggi che, pur nella fiction, lasciano per lo meno dei dubbi: «Il coraggio non è nella fedeltà, anche un cane sa essere fedele, ma nel tradimento».
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