E Napolitano copre il governo sui raid: «È anche la mia linea»

RomaDunque, la decisione è presa: anche noi bombarderemo la Libia. «È il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a metà marzo - spiega Giorgio Napolitano - quando abbiamo aderito alle indicazioni delle Nazioni Unite». Le perlustrazioni e il sostegno tecnico non bastano più, adesso serve «un ulteriore impegno» a fianco degli alleati. Le basi sono allertate, i Sea Harrier sono pronti al decollo. È la guerra, bellezza. Del resto «non potevamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi».
Dal Quirinale arriva quindi una completa copertura alla rotta tracciata dal governo. Anzi, come sostiene il capo dello Stato, l’annuncio di Silvio Berlusconi segue «la linea fissata dal Consiglio superiore di difesa da me presieduto». Un’identità di vedute confortata «da un ampio consenso in Parlamento», che non sembra sostanzialmente scalfita dalle proteste di Lega e dipietristi.
E l’interventismo italiano è l’altra faccia della «giusta» richiesta all’Unione Europea di concorrere alla gestione dei flussi migratori. «Nulla sarebbe più miope, meschino e perdente - dice ancora Napolitano - del ripiegamento in se stessi dei Paesi membri della Ue. Ciascuno di noi ha un futuro solo se scommette sull’Europa e sull’assunzione di responsabilità che ci competono in un mondo così fortemente in via di cambiamento». Questo è pure «l’autentico significato della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali nelle aree di crisi, in nome della sicurezza comune e della pace, contro il terrorismo e le negazioni sistematiche dei diritti umani».
Se vogliamo contare qualcosa, come Italia e come Europa, dobbiamo quindi mostrare qualche muscolo e spedire soldati all’estero. Una strategia che Napolitano illustra senza troppi giri di parole: «L’impegno delle forze armate è parte di una più generale visione che l’Italia è chiamata a coltivare, attraverso la sua collocazione europea e la sua politica estera e attraverso tutte le forme della sua presenza nel mondo». Insomma, bisogna rifiutare «pericolosi ripiegamenti su ristretti, anacronistici orizzonti e interessi nazionali».
E ora è il momento di farsi sentire perché «i drammatici eventi che accadono oltre le nostre frontiere ma intorno a noi hanno delle profonde ripercussioni sul nostro stesso Paese». Tutto l’Occidente, conclude, «si interroga sulla possibilità di evoluzioni democratiche nel mondo arabo, e le previsioni non sono facili».

Non sappiamo cosa c’è dietro le piazze libiche e egiziane, ma non possiamo «restare indifferenti davanti al rischio che vengano brutalmente soffocati movimenti comunque caratterizzati da una profonda carica liberatoria». Certo, da sola la forza non basta «a dare l’insieme delle risposte necessarie», serve uno sforzo economico e sociale degli organismi internazionali. Non basta, ma aiuta.

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