E nel Golfo si vive la nuova età dell’oro. Nero

da Milano

Mille miliardi di euro per 35 milioni di abitanti: è la cifra record piovuta dal 2002 al 2006 sui cittadini che vivono nei sei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc): Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Qatar, Bahrein ed Emirati arabi uniti. All’origine di tanta ricchezza c’è l’estrazione di greggio, di cui i sei Paesi il 40% delle riserve mondiali.
Con il petrolio a 100 dollari al barile, il flusso di denaro che si riverserà nei prossimi mesi rischia di aumentare il principale «problema» che i sei si trovano ad affrontare: come utilizzare le risorse. Perciò non poteva nascere in un momento migliore il mercato comune del Gcc, operativo dallo scorso primo gennaio, una svolta attesa dalla creazione del Gcc dell’81 e che - sulle orme di quanto avvenuto nel ’92 in Europa - punta a potenziare gli investimenti e l’interscambio fra i Paesi membri. Ma anche a liberalizzare gli spostamenti di persone e capitali in quest’area cruciale per l’economia mondiale. Un progetto che - assieme ai record del greggio - ha fatto compiere un balzo in avanti alle Borse della regione (ieri Bahrein e Oman hanno chiuso al loro massimo storico), per le quali già si parla di un mercato azionario comune.
Resta il problema di come utilizzare il surplus economico. La risposta, secondo gli economisti, è duplice: infrastrutture e investimenti esteri.

Le riserve economiche dei sei Paesi permettono ai cosiddetti «fondi sovrani» di impegnarsi in operazioni economiche che di questi tempi farebbero tremare le stesse banche centrali: fra gli investimenti degli ultimi mesi, l’acquisizione di quote rilevanti di colossi come Morgan Stanley, Citigroup e Merrill Lynch. Per esempio l’Arabia Saudita sta valutando la creazione di un maxi fondo sovrano, in grado persino di superare l’Adia di Abu Dhabi, forte di un patrimonio che potrebbe superare gli 800 miliardi di dollari.

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