E non è finita qui La scienza batte in volata i truffatori

Un’altra tacca sul mio Winchester, direbbe John Wayne. Anche Rebellin, persino Rebellin. Fino a domenica sera, dopo aver vinto la Freccia Vallone ed essere salito sul podio della Liegi-Bastogne-Liegi, era l'eroe positivo da mostrare ai giovani, con quei suoi 38 anni ancora tutti di lavoro, di umiltà e di sacrificio. Era la silenziosa e indomita icona della determinazione, più forte dei troppi secondi posti collezionati in carriera, una sequela capace di sfinire un toro, non lui, "il Chierico", infaticabile devoto della fatica.
Puntualmente, come altre due o tremila volte negli ultimi anni, non appena l'hanno messo sul piedistallo arriva la mattonata che manda in frantumi l'altarino. Anche questo. L'ultimo della serie, non l'ultimo della storia. Perché dev'essere chiarissimo a tutti: finché c'è sport, c'è doping. E chi s'illude del contrario è rimbambito o in malafede. Basta guardarsi in giro: in tutti i rami della società brulicano i bari e i malviventi, per quale ragione dovrebbero improvvisamente sparire proprio dallo sport?
Se mai, come è già qualcosa insistere con una sana lotta antiracket e antimafia, per arginare i fenomeni e rendere loro la vita durissima, ugualmente importante è insistere con una sana lotta antidoping. Oggi come oggi bisognerebbe fare un monumento allo scienziato del ramo buono che ha permesso, grazie anche alla collaborazione delle case farmaceutiche, di individuare la Cera nel sangue degli atleti. Santo subito. Con questo suo bernoccolo della biologia, sta ottenendo risultati mai visti. Sulla Cera, che sarebbe la nipote molto wow della vecchia Epo, stanno scivolando tanti illustri personaggi. Per una volta l'antico e umiliante rapporto tra dopati e scienziati, i primi astuti e imprendibili come diavoli, i secondi goffi e fuori tempo come cariatidi, si sta ribaltando: sta succedendo sempre più spesso che la parte degli scaltri tocchi ai biologi, mentre agli Arseni Lupin tocchi quella dei tordi.
Noi italiani, con Riccò e Piepoli al Tour, pensavamo di avere già dato. I due, tordissimi, si erano adeguatamente lucidati di Cera prima del Tour, diciamo a giugno, convinti che quella nuova sostanza sfuggisse tranquillamente ai controlli. Sempre più avanti, noi dell'Epo Rotary. Ganzissimi. Peccato che stavolta i più scafati stessero dall'altra parte: grazie anche al tracciante immesso dalla casa farmaceutica nel medicinale, un gioco da ragazzi impallinare in volo i nostri due fenomeni di montagna.
Quella volta si disse: nessuno sapeva che questa Cera è rintracciabile, anche a Pechino ci sarà da divertirsi. E difatti. Anche a Pechino, dopo le lunghe analisi, cadono altri tordi. Perché non si dica che il nostro ciclismo debba farsi scavalcare a sinistra da qualcun altro, ecco rintuzzare subito il rischio con un altro pezzo grosso. Rebellin, medaglia d'argento, l'eterno secondo, secondo pure ai Giochi. Uomo di fiducia del cittì Ballerini, esempio di abnegazione e di fedeltà ai colori azzurri, fresco di giuramento solenne sulla bandiera e sui supremi valori della patria olimpica. Facile immaginare la tagliola in cui ha messo il piede: anch'egli convinto che la Cera fosse introvabile all'antidoping, quando s'è accorto del contrario era troppo tardi. L'aveva già in circolo, non poteva depurarsi con una cura a Chianciano.
Tutta una carriera esemplare rovinata a 38 anni, proprio nel momento della gloria perenne? Ad essere sinceri, non è proprio così. Anni fa, Rebellin era già finito in un'inchiesta per doping, nel Veneto. Ne era uscito solo perché il giudice non aveva ritenuto ammissibili le intercettazioni ambientali, che lo ritraevano nello studio di un medico dopatore.


Purtroppo, l'età tanto celebrata, questi 38 anni così gagliardi, sono anche un marchio a fuoco: Rebellin viene dal periodo d'oro del doping, quando il doping era il secondo attrezzo di lavoro, dopo la bicicletta (forse era pure il primo). Per questi atleti dell'Epo-pea, il doping è come il primo amore: non si scorda mai.

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