E gli operai della Tav incrociano le braccia

Dura presa di posizione dei sindacati sul decreto dell’alta velocità: «La revoca delle concessioni lascerà senza lavoro 6mila persone»

da Milano

I sindacati proclamano sciopero, l’Associazione imprese generali parla di provvedimento «illegittimo», «arrogante» e basato su presupposti «falsi», l’Istituto grandi infrastrutture lamenta finalità «pretestuose» e «strumentali». Macché. Sull’alta velocità il governo va dritto per la sua strada, quella che mette un freno alle linee Milano-Verona, Verona-Padova e Genova-Milano. A tutti replicando che no, non è vero che il decreto Bersani sulle liberalizzazioni che revoca le concessioni Tav già assegnate senza gare pubbliche ritarderà la realizzazione delle opere aumentandone i costi. E dando nel contempo non meglio specificate garanzie ai sempre più preoccupati francesi sulla Torino-Lione, «siamo impegnati a completare l’iter burocratico e a definire tutte le soluzioni nel rispetto dei tempi dettati dall’Ue» ha detto ieri il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, paradossalmente nel giorno in cui, però, il popolo no-Tav ha annunciato che tornerà in piazza sabato prossimo, con una marcia tra le valli Sangone e Susa.
I primi a schierarsi contro l’esecutivo sono state Cgil, Cisl e Uil, che hanno annunciato quattro ore di braccia incrociate contro un decreto che, dicono, le braccia le farà incrociare, nei prossimi mesi e per sempre, a qualcosa come seimila lavoratori, più novemila già disoccupati, il tutto con il rischio di «buttare a mare 29 miliardi di lavori già eseguiti». Ieri il buongiorno s’è visto dal mattino: Agi ha comprato una pagina su tre quotidiani nazionali per una lettera aperta ai cittadini dal titolo significativo «Disfare ad alta velocità». Il decreto è «illegittimo», dice l’annuncio, «perché i contratti non si possono azzerare per legge», è arrogante perché «adottato con decreto pur in mancanza del presupposto di urgenza», è «basato su una campagna di disinformazione perché sostenuto con argomenti demagogici e mistificatori». Inoltre: «È falso che i contraenti generali assoggettati a revoca siano inefficienti, che fruiscano di prezzi di favore, che mettendo in gara le linee oggetto di revoca si possano risparmiare denari pubblici, che si possa accelerare la realizzazione di opere già affidate ricominciando tutto daccapo». Al contrario, «la revoca dei contratti arreca grave pregiudizio agli interessi nazionali» e «fa perdere all’Italia i contributi in conto capitale Ue». Sulla stessa linea il presidente dell’Igi Giuseppe Zamberletti, secondo il quale l’articolo 12 del decreto «introduce nell’ordinamento un vulnus sulla credibilità del sistema Italia, particolarmente grave sul fronte di concessioni e projet financing».
Bersani e Di Pietro hanno replicato che la revoca è «pienamente legittima e tornare alla gara significa eliminare i privilegi, abbassare i costi e favorire la concorrenza». Segnalando ai sindacati che il problema non sono le norme, ma la mancanza di soldi per le tre tratte.

Nel gioco delle due verità, vale il caso della Genova-Milano: un progetto già approvato e pronto a partire grazie a una cordata di banche e imprese, da Intesa a Impregilo a Condotte con l’interesse persino di Mediobanca, che invece dovrà ripartire da capo. Con un ritardo di almeno 18 mesi, la perdita dei finanziamenti europei e un risarcimento previsto per il general contractor non meno di 700 milioni di euro.

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