Obama sta parlando davanti al Congresso americano, un deputato dellopposizione lo interrompe dicendogli bugiardo. Per noi, abituati al clima da mercato ittico del nostro Parlamento, lepisodio vale quanto uno screzio nella riunione serale della San Vincenzo. Ma evidentemente la nostra percezione è ormai inattendibile e deviata: in giro per il mondo si sta sollevando un nuovo movimento di opinione, indignatissimo e allarmatissimo, a difesa del presidente assediato. Lo stato di allerta nasce da una convinzione angosciante: quel «bugiardo» lanciato dai banchi repubblicani, così come le contestazioni sociali allesterno del Congresso, non nasce dalla semplice opposizione alla riforma sanitaria, bensì dal terribile ritorno del fantasma di sempre: il razzismo. E via con la grande mobilitazione: a difesa del presidente panda, icona di tutte le anime belle, patrimonio mondiale dellumanità. Come Matera, come larte rupestre della Valcamonica.
In Italia, dove la vita e le opere del Presidente Giusto hanno molto peso e molto seguito, questa cosa del razzismo è piaciuta subito. Il vocabolo razzismo, in sé serissimo e orrendissimo, è diventato ormai da lungo tempo la password per qualunque discussione: basta dire razzismo e si sta subito dalla parte della ragione. Con Obama si gioca sul velluto: è il primo presidente americano di colore (bella anche questa definizione del nostro lessico: come se bianco non fosse un colore), al primo starnuto diventa subito la vittima sacrificale di tutti i razzismi. Se un parlamentare gli dice che mente, se un corteo sfila con qualche sua caricatura sui cartelloni, il movente non è la semplice polemica politica: no, ce lhanno con lui perché è uno sporco negro. Razzismo, nientaltro che odiosi razzisti.
Per infiammare la nuova campagna a protezione di Obama non si sono risparmiati nulla. Le sue sacerdotesse, sparse in tutto il mondo, hanno persino riesumato Jimmy Carter, ma sì, il vecchio presidente, oggi 85enne, allepoca archiviato più o meno come una macchietta, simpatico sgranocchiatore di noccioline, autorevolissimo però stavolta nel lanciare il nuovo allarme planetario: «Contro Obama è nuovo razzismo: molti, in questo Paese, sono convinti che un afroamericano non debba essere presidente». Musica per le orecchie di chi ha messo Obama nella teca dei buoni pensieri e dei miti infallibili. Il resto viene da solo: come direbbe Sacchi, si gioca a memoria.
Ora: Obama è sicuramente un bravo figlio, magari sarà anche un bravo presidente, ma non è che si possa pensare di evitargli le fastidiose turbolenze del suo mestiere, proteggendolo sotto la campana di vetro del razzismo. Messa così la situazione, non è più possibile nemmeno ipotizzare un sano confronto politico. Anche aspro, anche duro. Con Obama le regole del gioco sono falsate: tutto quello che dice e che fa lui è perfetto, se qualcuno non la pensa come lui è razzista. Ci si capisce: non cè più margine. Siamo al punto che tutti quanti i leader, in giro per il mondo, subiscono feroci campagne di qualunque genere. Persino il Santo Padre è bersaglio di colpi bassissimi. Obama no: è fuori concorso. Giù le mani da Obama. Sacro e intoccabile. Nemmeno Nostro Signore ha goduto di tanta amorevole devozione.
Certo, agli italiani che ora leggono sulla Repubblica «Lo spettro del razzismo nella campagna anti Obama», non può non tornare subito in mente, che so, la Gelmini. Ma anche Fioroni, il suo predecessore. Se dire bugiardo a Obama è razzismo, che cosa diavolo è - umanamente - larmamentario di caricature mostruose e di insulti sanguinosi riservato a costoro nelle piazze dItalia?
Domande. Inutili. Lordine ormai è partito e non cè ragionamento che possa fermarlo. Obama è come la fidanzata, non si tocca neppure con un fiore. E chi ci prova è razzista. Punto.
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