Nicola Porro
da Milano
Sul valzer delle «poltrone economiche» ci sono da risolvere due prime questioni dirimenti. «E poi il resto - ci dice un banchiere interessato alla partita - andrà giù che è una bellezza».
Come prima cosa occorre capire chi davvero inciderà sulle partecipazioni. Ci sono almeno due schieramenti allinterno del governo. Quello prodiano, ovviamente avvantaggiato. Parte da palazzo Chigi con il suo presidente, passa per il suo fedele sottosegretario con un passato in Iri, Enrico Micheli. E si trasferisce al Tesoro con il sottosegretario Massimo Tononi: ex Goldman Sachs, per qualche tempo prestato a Nomisma e «allievo» di quel Claudio Costamagna oggi in pole per qualche ruolo di primo piano nelle partecipazioni dellUlivo. Significativo infine che a Palazzo Chigi si sia trasferito il potente Cipe, scippato al Tesoro.
Una cordata diversa geneticamente e che ha voluto subito segnare le posizioni è quella più propriamente diessina. E che ha il suo regista in Pierluigi Bersani, grande sponsor nel passato governo DAlema, dellopa Telecom. Il neoministro per lo Sviluppo economico ha subito precisato la sua volontà di ritagliarsi un ruolo di primo piano nella definizione delle strategie «per le società a controllo pubblico», come Enel, Eni, Finmeccanica e via dicendo. Questultimo milieu avrà vita difficile. E ad ogni buon conto allinterno del governo verranno tenuti a bada, come già è avvenuto nelle ripartizioni ministeriali, con lagitare la bandiera moralistica del loro appoggio alla banda Consorte et similia.
Ma dicevamo ci sono due catalizzatori da attivare per dare il via alla musica. Oltre a quello politico, ce nè uno solo apparentemente tecnico: il rapporto tra Eni guidata da Paolo Scaroni ed Enel amministrata da Fulvio Conti. Sono le due gemme delle nostre partecipazioni statali: le due poltrone doro. Entrambe quotate: la prima vale 92 miliardi di euro, la seconda la metà. Una parte dellesecutivo (vi è già uno studio riservato di Goldman Sachs, ma non è la sola banca daffari ad essersi esercitata), sta cercando di capire come la combinazione delle due società possa portare risorse fresche in cassa e non nellapposito fondo di ammortamento del debito. Unipotesi è passare per la Cassa depositi e prestiti (il cui consiglio guidato da Salvatore Rebecchini, un ciampiano di fede An, sarà difficile che resista) ed un eventuale dividendo straordinario, che entrerebbe subito nelle disponibilità del Tesoro. La soluzione trovata non sarà evidentemente neutrale rispetto ai manager che guidano le due società. Entrambi comunque hanno davanti a loro due anni pieni di mandato. E società a largo flottante in Borsa e con molti investitori stranieri in casa, difficilmente possono essere rimossi dalloggi al domani. A meno certo di non rivoluzionare gli assetti, magari con una fusione. E comunque sul piatto di Prodi&C ci sono almeno tre scalpitanti manager che potrebbero rassicurare il mercato: Claudio Costamagna da Goldman, Corrado Passera da Intesa e Franco Bernabè da Rothschild.
Ma i giochi non sono finiti. Con le ore contate vengono ritenuti i vertici delle Poste (Massimo Sarmi), dellAnas (per la sua accondiscendenza nei confronti di Autostrade e delle sue recenti operazioni straordinarie) e delle Ferrovie dello Stato. In questo senso i manager della passata gestione si stanno dando da fare. Elio Catania (numero uno delle Fs) in una recente intervista a Repubblica ha usato tutte le sue armi diplomatiche per mitigare la pessima percezione che la sua società ha nellopinione pubblica. Il numero uno di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini la settimana scorsa è diplomaticamente sbottato: «Il fatto che noi si sia filoamericani è un mito».
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