E dalla panchina si scalda Benetton

La cordata di «unità nazionale» con Capitalia e Intesa potrebbe trovare a Ponzano Veneto la sponda industriale, con il benestare del premier

da Milano

E se la soluzione dell’ultimo intrigo Telecom fosse a portata di mano? E si chiamasse Benetton? Il socio della prima ora di Tronchetti in Olimpia, fin da quel lontano luglio 2001, è l’unico a essere ancora lì. E ieri Gilberto, numero uno di Edizione, la holding del gruppo, ha detto che «il patto con Pirelli prevede che in caso di vendita dobbiamo vendere anche noi. Ma diversamente da Pirelli siamo disposti a fare qualche altro discorso. Dipende da chi subentra».
A qualcuno è sembrato un messaggio rivolto a quella cordata di istituzioni finanziarie che sarebbe pronta a intervenire. Ci sarebbero, tra gli altri, Intesa, Capitalia e Fondazioni. Ma uno dei soggetti interessati ieri faceva sapere: «La partita non è affatto facile, soprattutto se manca il partner industriale». Il ragionamento si presta ad analogie con il caso Fiat del 2002: allora le banche sottoscrissero il convertendo da 3 miliardi. Ora potrebbero fare un’operazione simile, ma solo a condizione di avere al loro fianco un «driver» industriale italiano. E chi è meglio di Benetton, già socio in Olimpia al 20%?
L’operazione, che riguarda l’altro 80% in mano a Pirelli (vale 3,5 miliardi) a cui si sta lavorando, avrebbe molte potenzialità. Prima fra tutte quella di trasformare Olimpia-Telecom nel laboratorio del nuovo equilibrio della finanza nazionale, con i due antagonisti di sistema, Giovanni Bazoli da un lato, Cesare Geronzi dall’altro, impegnati nella stessa intrapresa. Magari con l’intervento di F2i, il fondo per le infrastrutture voluto da Bazoli e guidato dall’ex manager Benetton Vito Gamberale. Il tutto facilmente combinabile anche con l’Unicredito di Alessandro Profumo, banchiere socio di Benetton in Autostrade. Che completerebbe il quadro di «unità nazionale», passando anche da Mediobanca.
La famiglia veneta sarebbe il contrappeso imprenditoriale: un’avventura che il manager di più lungo corso a Ponzano, Gianni Mion, accarezza da sempre. Coerente con la sfida della diversificazione di Edizione nei servizi regolamentati. E ancora più stimolante di quella in Autostrade: il futuro delle tlc è tutto da costruire in un contesto concorrenziale aperto per davvero. Non a caso Edizione holding ha costituito, a settembre, il braccio «infrastrutture e servizi». E sempre non a caso il gruppo sta aspettando di riaprire il dossier della fusione con Abertis, che se andrà in porto le frutterà altri 660 milioni di dividendo straordinario. Mentre altro fieno in cascina è pronto ad arrivare dal fronte Autogrill, il gioiello multinazionale dove entreranno nuovi soci in cambio di una cifra stimabile sui 500 milioni. In Autogrill, tra l’altro, c’è anche Gianmario Tondato, manager abile, cresciuto in casa, che potrebbe essere l’atout dei Benetton da giocarsi in Telecom.
Della partita non deve infine sfuggire l’aspetto politico: alla crescita dei Benetton in Telecom non può mancare l’ok di questo governo, vista la propensione economica dirigista manifestata a più battute dal premier. Ne sa qualcosa lo stesso Gilberto, stoppato nella fusione con Abertis proprio perché il suo progetto cozzava con l’idea di un governo che controlla le grandi imprese e le infrastrutture. Ma anche in questo caso le premesse ci sono.

A cominciare dal voto favorevole che Benetton e Mion hanno dato al piano di Guido Rossi di venerdì scorso. Un segnale, forse, di disponibilità. Magari attraverso un accordo di compensazione tra la partita Autostrade-Abertis e questa, tutta da giocare, di Telecom Italia.

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