E in passerella l’abito fa la storia

Paolo Bulbarelli

da Milano

Il sette pare il numero magico della moda maschile. Sette come Settecento. Sette come Settanta. Come a dire che è perfetta la marsina da Napoleone così come la giacca dei Rolling Stones. Pare di visitare l’ultima mostra allestita al Louvre «L’Homme Paré», dove si passa da una portantina settecentesca a una ruggente motocicletta e intanto si guardano sfilare questi «nuovi» maschi che, come dicono Domenico Dolce e Stefano Gabbana, si riappropriano della loro vita diventandone imperatori. Liberi ormai da ogni paura della moda e da ogni fardello femminile, felici di condividere l’esistenza più tra di loro come un vecchio club inglese (che sperano resuscitino presto), questi uomini «fai-da-te», non hanno più bisogno di mamma, fidanzata o moglie per andare a far compere ma sono capaci di scegliere da soli, di abbinare i colori e i tessuti come veri e propri esperti.
Forse non si sono ancora spogliati completamente delle convenzioni e, probabilmente ancora per poco, per loro l’abito fa il monaco. Nel senso che, come diceva la Pompadour «la seduzione del maschio sta nella divisa». Anche il Settecento o gli anni Settanta sono una sorta di divisa. Riconoscibile e inconfondibile. Ci sono i galloni, i ricami d’oro ma anche i pantaloni a sigaretta o il montgomery. Prendi gli stemmi a esempio. Quelli di Ermanno Scervino, su piumini che sono a dir poco straordinari, sono assolutamente unici ma si rifanno alla storia. Una storia che da Vivienne Westwood attinge addirittura a quella greca e si mescola alla più rigorosa tradizione inglese. Come? Creando una tunica greca in perfetto tartan scozzese o una minigonna kilt che sembra un gonnellino dei tempi o un maglioncino in spugna stampato a precisi caratteri ellenici.
Se si mescola Inghilterra e Grecia perché non provare con Scozia e Italia s’è detto Rocco Barocco. Ne è uscito l’«Easy British» con bermuda scozzesi, cappotti di pelle foderati di velluto, giacche sciancrate, maglioni con orsetti ricamati in rilievo e catene con cornetti portafortuna. Da Barocco, in passerella Costantino che ringrazia «mamma d’avermi fatto così bello» soprattutto ora che con Cesare Paciotti è finito in tutto il mondo. Da Costantino a Raf Simons, nuovo stilista, belga, di Jil Sander, è un bel salto. Uno palestrato e moraccione, l’altro biondino ed esile. E ognuno rispecchia la moda che rappresenta. Il marchio tedesco acquisito da Prada ha presentato una collezione austera e molto elegante quasi da prete protestante: nero soprattutto, ma anche blu scuro, grigio e solo qualche tocco di beige. Il contrasto è netto tra le forme molto affusolate dei pantaloni e il taglio «a sacchetto» delle giacche, abbastanza comode portate con camicie bianche dal piccolo collo o maglioni pesanti corti.
È invece un’esplosione di colori Missoni dove si ritrovano i miti del passato con gli occhi del presente fissati in pezzi funzionali e senza tempo. La maglia la fa da padrone da mattina a sera persino con lo smoking capo davvero onnipresente.

Un capo da Savile Row com’è la moda di Oswald Boateng (stilista di Givenchy Uomo) che tra tute di pelle da portare con camicia e cravatta e perfetti cappotti alza i tacchi delle scarpe di 5 centimetri. «Rende la gamba più sexy», dice.

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