E il Pd facendo il doppio gioco ora ammicca all’Italia dei valori

DUE FACCE Le esternazioni della Bindi definite «infelici» Ma non si lascia a Tonino il monopolio dell’estremismo

RomaLa Bindi no, proprio non ci voleva: quell’intervista para-dipietrista alla presidente dell’assemblea del Pd ha mandato di traverso la lettura dei giornali a mezzo Pd. A cominciare dal segretario, che stava giusto partendo per Milano per andare a far visita a Berlusconi.
«Per fortuna che Bersani l’ha corretta, e ha ridato la linea lui al Pd, andando a trovare il premier», si sfogava un irritatissimo Franco Marini ieri. E si capisce: non serviva neppure guardare i sondaggi, per rendersi conto che, come lamenta Bersani, «non era proprio il momento, con le prime pagine dei giornali insanguinate» e l’immagine di Berlusconi colpito che faceva il giro del mondo, per sfoderare le armi classiche dell’anti-berlusconismo militante. Dando al premier, come fa la Bindi, la colpa dell’aggressione che ha subito e intimandogli di «non fare la vittima» visto che è lui «l’artefice» del clima «violento». Un autogol in piena regola, che ha finito per mettere al centro delle polemiche e delle accuse, dopo Di Pietro, anche il principale partito di opposizione. Lei però non recede: «Non potevo dire che non è anche colpa di Berlusconi, se il clima è questo», ripete.
E le voci che si sono levate dal Pd ieri, per rimproverare la presidente, sono significative della preoccupazione. Il veltroniano Giorgio Tonini prende le distanze dalle «ambiguità» dell’ex pm e anche della Bindi. Peppe Fioroni è durissimo: «Davanti a un fatto gravissimo non ci sono spazi per tentennamenti, giustificazioni e altre affermazioni farneticanti». Per Roberto Giachetti «la Bindi ha espresso opinioni infelici». Il sindaco di Torino, Chiamparino, ammonisce: «Chi ha responsabilità pubbliche ha il dovere di riportare la dialettica nell’alveo di un confronto civile», e il riferimento alla vicepresidente della Camera è chiaro.
Quanto a Bersani, il segretario non smentisce apertamente la Bindi, ma si affanna a spiegare che «non può esserci alcun dubbio sulla condanna da parte del Pd e di ogni suo componente». Che la presidente del Pd e quella che i bersaniani definiscono «la sua ansia di protagonismo» crei qualche problema ai vertici Pd è noto: lo si è visto un paio di settimane fa, quando la Bindi ha voluto l’autorizzazione a partecipare al No-B day da cui Bersani tentava di prendere le distanze. E però è anche vero che l’estremismo bindiano copre un fronte, esteso a sinistra, che il Pd non può o non vuole lasciar sguarnito, quello appunto dell’anti-berlusconismo militante.
Domenica sera il segretario del Pd è rimasto a lungo davanti alla tv, a guardare le immagini dell’assalto al premier e del viso insanguinato di Berlusconi. Poi ha alzato il telefono e cercato Paolo Bonaiuti, per annunciargli la sua intenzione di fare visita al capo del governo, e verificarne la possibilità e il gradimento. Proposta subito accettata. L’incontro, ieri mattina al San Raffaele, è stato cordiale: saluti, strette di mano, una «lunga chiacchierata» preoccupata sul clima di tensione, sui rapporti tra maggioranza e opposizione, sulla necessità di tornare a «un confronto civile». Persino un paio di barzellette, prima dei saluti.
Raccontano i suoi più stretti collaboratori che Pierluigi Bersani domenica era «molto colpito», e che subito ha capito che andare a dare di persona la propria solidarietà a Berlusconi era «l’unico gesto vero da fare, al di là delle parole».


Solidarietà umana, certo, e anche calcolo politico: al leader dell’opposizione è chiaro «l’impatto che ha sull’opinione pubblica» l’aggressione al premier e l’ondata di solidarietà e di inevitabile popolarità che ha suscitato. Il momento peggiore per dargli addosso. Il migliore per andargli a stringere la mano.

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