E le Popolari «gelano» la riforma

da Milano

Permettere ai fondi di racimolare fino al 5% del capitale è troppo e gli attuali paletti alla raccolta delle deleghe non si toccano: le banche Popolari non accettano l’ipotesi di riforma messa in cantiere da Giorgio Benvenuto. Davanti alla commissione Finanze del Senato, Carlo Fratta Pasini brandisce il fioretto, esprimendo un «diverso convincimento su alcuni punti della riforma» ma la sensazione nel mondo delle cooperative è che malgrado ci siano già stati venti incontri, il testo risulterebbe «esiziale» per la sopravvivenza dell’intero settore. Da qui la stoccata inferta dal presidente dell’Assop che in primo luogo ha chiesto di circoscrivere alle sole banche quotate in Piazza Affari la norma in base alla quale gli investitori istituzionali (a partire dai fondi pensione) potrebbero raggiungere il 5% del capitale. Limite che, numeri alla mano, Fratta Pasini ha giudicato comunque troppo sbilanciato visto che ad oggi è difficile individuare pacchetti superiori al 3% tra i soci delle cooperative.
Altro punto dolente è l’idea di ampliare il riscorso al voto per delega delle Associazioni: un accorgimento che qualcuno nel mondo delle popolari teme possa essere il prodromo per mettere in discussione anche un tratto fondante come il voto capitario.
Senza contare che, laddove il peso dei fondi diventasse preminente, potrebbe impattare sullo stesso spirito «mutualistico» con cui oggi le popolari guardano al proprio territorio di riferimento. Per lo stesso motivo Fratta Pasini, che siede anche alla presidenza del neonato Banco Popolare (frutto dell’integrazione di Bpi in Bpvn) non condivide quanto previsto dalla riforma nel rapporto tra le minoranze e il consiglio di amministrazione. Piccata la risposta della politica, dove Benvenuto, pur ritenendo «utile» il contributo di Fratta Pasini, ha giudicato «vaghe e contraddittorie» le repliche rispetto al quadro tracciato da Bankitalia mentre Giorgio Iannone di Forza Italia ha lamentato come l’Assop voglia bloccare una già «laboriosissima e fin qui improduttiva riforma».

La partita, tuttavia, appare molto più ampia: fino a lasciar supporre ad alcuni custodi del credito cooperativo che l’obiettivo finale sia offrire ai grandi gruppi finora rimasti ai margini del grande riassetto del credito nazionale un nuovo canale di penetrazione.

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