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E presto la ricarica del cellulare si comprerà come un francobollo

da Milano

Quando ha un ospite al quale vuol mostrare come siano cambiate le poste, Massimo Sarmi lo porta a visitare l’ufficio di piazza San Silvestro a Roma. Non solo perché è a due passi dal suo ufficio di amministratore delegato di Poste italiane, e dalle sedi delle principali istituzioni, a partire da Palazzo Chigi. Ma soprattutto perché della rivoluzione del servizio che ci consegna lettere e cartoline da 146 anni, e a volte dopo 146 anni direbbero i maligni, quell’ufficio postale è un simbolo.
Chi ci avesse fatto la fila per una raccomandata vent’anni fa e ci fosse tornato solo oggi stenterebbe a riconoscerlo. Alloggiato in un palazzo storico del pieno centro della capitale, allora restituiva la classica sensazione «ministeriale», quella dell’ufficio pubblico con gli impiegati in mezza manica nera alla Totò e Peppino.
Oggi, al di là del diverso aspetto delle impiegate allo sportello (la sensazione è che siano state scelte le più giovani e carine) nell’enorme atrio che appariva refrattario a ogni tecnologia campeggiano enormi tabelloni digitali modello aeroporto. Sono gli eliminacode che smistano i clienti tra gli sportelli. Perché ormai non basta più prendere il numeretto e fare la fila (per la verità una volta non c’era nemmeno quello, si poteva solo scegliere uno sportello, di solito quello in cui la coda si inceppava). Adesso bisogna prima decidere di quale tipo di servizio si ha bisogno, fissando smarriti la macchina che distribuisce i numeretti nella speranza di azzeccare la coda giusta: prodotto banco posta o prodotto postale? Ptbusiness o Kipoint? Ricaricare una carta di credito o comprare un cd? E sì, perché negli uffici più grandi non manca lo «shop», il negozio in cui acquistare la penna dimenticata a casa, ma anche un libro, un videogioco. O una tazza con il logo delle Poste.
Oggi spedire una raccomandata è l’ultimo dei motivi per cui si entra alla posta. Quello lo si può fare tranquillamente dal computer di casa con i nuovi servizi telematici. Del resto cambiare era l’unica possibilità di sopravvivere. La diffusione universale dell’e-mail ha reso la vecchia lettera di carta un cimelio da mettere in un museo, nello scaffale tra il grammofono e la bicicletta a ruote asimmetriche. In realtà la grafomania degli italiani e il fascino romantico della scrittura hanno allungato la vita a cartoline e affini. Le Poste hanno dovuto fare di necessità virtù e a forza di moltiplicare i servizi offerti alla clientela (dell’ultimo in arrivo, la telefonia cellulare, si parla in questa stessa pagina) l’ufficio postale ha scoperto che non sarebbe scomparso. Anzi. È più frequentato di prima, un grande emporio, l’ultima merceria in un mondo di commercio elettronico. Proprio nell’era del byte e dei call center, di internet e del telefonino, ha vinto l’intuizione di valorizzare un incredibile patrimonio: 14mila sportelli sparsi ovunque, dalle Alpi a Capo Passero. Una capillarità che poche istituzioni o aziende possono vantare. Insieme al parroco e al maresciallo dei carabinieri, ogni paese ha il suo direttore delle poste.
L’importante era trovare motivi per farci tornare a far la fila in quegli uffici. Ed ecco allora la disponibilità delle Poste a stipulare accordi per fornire di tutto, compresi passaporti e cartelle cliniche. E mentre sei in fila ora approfittano per farti fare shopping. Numeretto in tasca puoi fare un regalo alla moglie. O alla segretaria, facendolo recapitare in un riservato pacco anonimo.

E se poi la consegna non è così puntuale, pazienza.

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