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E quella del rugby si mangia le mani

«Avevamo una partita da giocare in questo mondiale e l’abbiamo persa. Di due punti». Giancarlo Dondi, il patriarca del rugby azzurro, il presidente federale che ha sdoganato la parrocchietta ovale portandola al tavolo dei potenti, allarga le braccia. Fuori dagli spogliatoi di St.Etienne la delusione è tanta, troppa per chi pensava che fosse finalmente arrivata l’ora del salto di qualità. I quarti di finale del mondiale non erano mai stati così vicini. Questione di centimetri (quelli che sono mancati all’ultimo calcio piazzato di Bortolussi) e di minuti (quelli che sono passati senza il sorpasso sulla Scozia). E l’eliminazione brucia ancora di più, pensando che ai quarti approda una squadra, quella scozzese, che non ha fatto vedere nulla di speciale. E che a Parigi non troverà una delle grandissime del pianeta rugby, ma un’Argentina che, pur cresciuta in modo straordinario (ieri ha liquidato anche l’Irlanda), è più abbordabile di australiani o sudafricani.
L’Italia ovale, invece, torna a casa. Accompagnata dagli applausi generosi del suo popolo, accorso in massa a St.Etienne, ma anche dalle polemiche interne a un ambiente che, dicono i bene informati, durante i mondiali si è guastato. Il ct Berbizier se ne andrà, ma prima di salutare e ringraziare ha buttato una frecciata in conferenza stampa che potrebbe chiarire molte cose: «Il rugby è uno sport fatto di disciplina. Gli scozzesi l’hanno avuta, noi no». E probabilmente non si riferiva soltanto ai troppi falli che hanno offerto all’infallibile Paterson i calci della vittoria scozzese, ma anche a quello che era successo durante il lungo ritiro, dalla Val d’Aosta a San Remy. Adesso toccherà a un sudafricano, Nick Mallett, rimettere assieme i cocci, soprattutto psicologici, di una sconfitta che rischia di ricacciare indietro la nostra nazionale nella considerazione del pianeta rugby.
Una nazionale che purtroppo, ancora una volta, ha fallito l’appuntamento con il mondiale, restando di nuovo tra le escluse della prima fase. In nobile compagnia, se pensiamo a Galles e Irlanda, ma in un girone che era sicuramente il più morbido di tutta la coppa, se pensiamo che al posto dei mediocri scozzesi avremmo potuto incontrare Tonga, Samoa, Figi, la stessa Irlanda o persino la sorprendente Georgia. Invece ci siamo fatti devastare dagli All Blacks subendo addirittura 11 mete, abbiamo faticato oltre il lecito per piegare romeni e portoghesi e ci siamo inceppati di fronte all’unica possibilità di riscatto.
Da una squadra attrezzata come questa, fatta da fior di professionisti accasati nelle migliori squadre del continente, oltre che nei calendari patinati, sinceramente ci saremmo attesi qualcosa di più. Senza sollevare il coperchio dell’italianità di questa squadra (8 oriundi o naturalizzati sui 15 schierati contro la Scozia; 15 su 30 convocati, qualcuno sinceramente misterioso come Manoa Vosawai...), che certamente della nostra scuola rappresenta ben poco. Ma ormai questo, assieme all’invasione straniera dei campionati, è un male generalizzato, riguarda tante altre squadre del mondiale e tante altre nazionali italiane.

Quelle che, guarda caso, nel giro di un mese hanno anticipato il mesto destino del rugby.

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