Siena - Scudetto nel nome di Materazzi e della sofferenza. L’Inter ha chiuso la storia di questa sua avventura mettendo insieme personaggi e interpreti, come ci fosse Fellini alla regia. Caldo e sudore in tutti i sensi, prima di veder scorrere la felicità e la vena da killer di Materazzi. Un gol strappato al piede di Ibrahimovic, l’altro realizzato due volte: due rigori per mettere a bella prova i suoi nervi, quest’anno diventati quasi d’acciaio. Eppoi Julio Cesar che ha messo piede e mani a salvaguardare un risultato tenuto in dubbio dalla grinta e dalla voglia di non mollare del Siena, ma anche dalle svagatezze di una difesa che, in questi ultimi tempi, ha recuperato tutte le sue bizzarrie. E fino all’ultimo ha prolungato la sofferenza.
Eppoi Ibra che fa la foca e cerca l’impossibile. Cambiasso tornato ad essere uomo di riferimento, mentre Stankovic ha giocato con ardore del combattente, tempra del leader, ma piede da zuzzerellone. Capita nelle giornate in cui tutti vorrebbero essere perfetti, ma il bello del calcio sta anche nel suo esser dispettoso. L’Inter voleva vincere lo scudetto a Milano ed invece lo ha vinto a Siena, lontana dalle sue folle oceaniche, in uno stadio pocket, davanti ad un allenatore che tifa Milan ed ha fatto di tutto per dimostrare il segno di una fede.
Inter in testa al minuto 17, che di solito non porta mai gran fortuna, ed infatti eccola raggiunta dopo tre minuti da un colpo di testa di Negro, uno che il 5 maggio stava seduto sulla panchina della Lazio.
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