Roma - I jeans non sono "paragonabili" a una specie di "cintura di castità" e, dunque, non possono essere considerati un ostacolo a una violenza sessuale. La Cassazione conferma la condanna alla pena (sospesa) di un anno di reclusione inflitta ad un uomo dalla Corte d’appello di Venezia per violenza sessuale.
Il fatto L’imputato aveva, secondo l’accusa, "compiuto con violenza atti di libidine" nei confronti della figlia della sua compagna, "toccandola sul seno, sui fianchi, sul sedere e nelle parti intime, entrando con le mani sotto i pantaloni della donna". Contro la sentenza di condanna, l’uomo si era rivolto alla Suprema Corte, spiegando che, "indossando la ragazza dei jeans ed essendo seduta", era "impossibile" infilare una mano sotto i pantaloni da lei indossari toccandole le parti intime.
La sentenza degli ermellini Gli ermellini della terza sezione penale, con la sentenza n.30403, hanno rigettato il ricorso dell’uomo, osservando la "compiuta valutazione degli elementi" da parte della Corte territoriale e sottolineando che "il fatto che la ragazza indossasse pantaloni del tipo jeans non era ostativo al toccamento interno delle parti intime, essendo possibile farlo penetrando con la mano dentro l’indumento, non essendo questo paragonabile ad una specie di cintura di castità".
Il precedente I jeans furono al centro di un’altra sentenza, contestatissima, che la Suprema Corte depositò nel febbraio del 1999, nella quale veniva insinuato il dubbio che la violenza sessuale sarebbe stata più difficile da attuare nel caso in cui la vittima avesse indossato un simile abbigliamento.
I giudici, all’epoca, avevano annullato con rinvio la condanna inflitta ad un presunto stupratore, rilevando che i jeans non possono essere sfilati "nemmeno in parte" se chi li indossa non dà "una fattiva collaborazione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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