E il Sud Dakota ripensa l’aborto

Un referendum popolare indetto per il prossimo 7 novembre nel Sud Dakota promette di essere una tappa importante del processo di ripensamento sulla legalizzazione dell’aborto in corso ormai da anni negli Stati Uniti. Tale processo è un... segreto ben custodito dal grosso della stampa italiana, che non esita a censurare tutto ciò che nella realtà del mondo non quadra con i suoi pregiudizi ideologici.
Non di meno negli Usa il movimento contro l’aborto è un fenomeno di rilevanza nazionale. Nello scorso marzo il Parlamento del Sud Dakota aveva approvato a grande maggioranza una legge in forza della quale aiutare una donna ad abortire è un reato sempre e comunque. La donna che abortisce non è incriminabile, ma il medico che le procura l’aborto può essere condannato fino a un massimo di cinque anni di carcere. Questo con un’unica eccezione: se l’aborto è l’unico modo possibile per salvare la vita della gestante. Contro tale legge è stato proposto il referendum abrogativo di cui si diceva. La campagna referendaria è divenuta occasione per un dibattito molto vivace e interessante dove, diversamente da quanto accade in materia nel nostro Paese, chi è contrario all’aborto legalizzato non viene ridotto al ruolo del toro nella corrida o della volpe nella tradizionale caccia a cavallo della nobiltà inglese.
A favore della legge sono scese in campo donne che, avendo a suo tempo abortito, non esitano ad affermare pubblicamente di essere perciò oppresse dal rimorso; e così pure donne che, essendo rimaste incinte in seguito a una violenza, dicono perché hanno poi scelto di non abortire e di come siano soddisfatte di tale scelta. La stessa Leslee Unruh, che guida la campagna per il «no» all’abrogazione della nuova legge, è una donna che trent’anni fa abortì e che, partendo da tale esperienza, è giunta a schierarsi contro l’aborto.
Una sua tesi di fondo è che nell’aborto le vittime sono due: non solo il bambino cui si è impedito di nascere, ma anche la donna che lo portava in seno, la quale passerà il resto della sua vita a fare i conti non con un «complesso di colpa» bensì con una colpa, punto e basta. Giungono insomma alla ribalta dell’opinione pubblica posizioni ed esperienze che si registrano anche da noi, ma che in un Paese come il nostro restano sistematicamente escluse dai tele-salotti dei grandi talk show e dalle pagine dei grandi settimanali familiari, per non dire degli altri. È anche sintomatico che il leitmotiv dei promotori del referendum sia quello che «la legge è eccessiva»: un argomento piuttosto debole, che la dice lunga sulla situazione. I sondaggi danno quasi alla pari i «no» e i «sì». Quindi per vincere i promotori del referendum devono andare a cercare voti anche tra coloro che, pur essendo contro l’aborto, giudichino appunto «eccessiva» la nuova legge.


Il 7 novembre sarà negli Stati un grande appuntamento elettorale. Tra le molte poste in gioco quella relativa al referendum del Sud Dakota farà inevitabilmente meno notizia, ma merita ugualmente la più grande attenzione.

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