E Veltroni perde anche la guerra sulle preferenze

IL RICATTO Contro il Pd tutta la sinistra estrema: «Questa nuova legge sarebbe un colpo di stato». Walter deve cedere

E Veltroni perde anche la guerra sulle preferenze

Roma«Nondum matura est»: come nell’apologo della volpe e dell’uva, al Pd tocca dire «no grazie, non ci piace» ad una riforma della legge elettorale europea che invece, a Walter Veltroni, piaceva eccome.
«Ci tiene molto, e in questa formulazione sarà complicato per gli altri dirgli di no», assicurava nel primo pomeriggio, prima del «caminetto Pd» convocato alle 18 per decidere, un colonnello veltroniano. Intendendo, con «gli altri», gli oppositori interni al Pd, in prima fila Massimo D’Alema e Francesco Rutelli, che di ritoccare quorum e sistema delle preferenze non vogliono sentir parlare. «Franco Marini invece è convinto e sta con noi», giuravano dal fronte del segretario. La versione dei dalemiani era opposta: «Marini è uno dei più oltranzisti contro questo papocchio». Il capogruppo Pd Soro ieri mattina era uscito allo scoperto, dicendo che la attuale «brutta legge va modificata», e che si era pronti a «verificare in Parlamento» la possibilità di cambiarla. Sulla base della proposta avanzata dal Pdl. Nel frattempo, però, da sinistra si è scatenata l’iradiddio: «Una nuova porcata», denunciava il Pdci. «Il colpo di grazia alla democrazia», secondo i verdi. «Lo sbarramento che vuole il Pd è un colpo di Stato», tuonava il Prc Ferrero. E Fava di Sinistra democratica la definiva una «proposta indecente». Contrarissimo anche Di Pietro, che non sarebbe toccato dalla riforma ma non vuol fare il minimo favore elettorale al Pd. Dall’interno, si facevano sentire solo Follini e i prodiani, criticando il tentativo di Veltroni; mentre dal fronte opposto arrivava lo stop della Lega. I dalemiani sostengono di aver tentato, a quel punto, di convincere il segretario a rinunciare al vertice serale «dal quale uscirebbero solo le nostre divisioni» e a prendere atto che le condizioni per una riforma non ci sono. «Non si può fare una legge elettorale senza un largo consenso in Parlamento: senza Bossi, l’Udc e l’Idv neppure Berlusconi ci si mette», è stato il ragionamento di D’Alema». E comunque, per l’ex ministro degli Esteri, «le preferenze non si toccano, con o senza trucchi».
Il lavorio sottotraccia sulla legge andava avanti da tempo. Secondo la versione che danno al Nazareno, a prendere l’iniziativa sono stati gli ambasciatori di Berlusconi. A fine novembre Denis Verdini, coordinatore di Forza Italia, ha chiesto un incontro a Goffredo Bettini e ha proposto di riavviare una trattativa in extremis per cambiare la legge elettorale. A vantaggio di entrambi i principali partiti.
Il coordinamento del Pd, a dicembre, ha affidato a Dario Franceschini il mandato di trattare la questione con il ministro ai Rapporti con il Parlamento Vito. Secondo il quale da allora non si sono fatti grandi passi avanti, causa divisioni interne al Pd. La proposta alla fine è stata comunque scodellata, ingegnoso rompicapo che avrebbe dovuto tener buoni tutti, o quasi: soglia indefinita (anche se per i vertici Pd e Pdl, solidali, quella vera è al 4%), lista bloccata decisa dai vertici dei partiti e lista accessoria i cui candidati, grazie alle preferenze, possono scavalcare quelli blindati. «È un buon compromesso che può andare bene a molti, se non a tutti», diceva ieri - prima del «caminetto» - Paolo Gentiloni.

Compresa l’Udc? «A Casini in realtà sta benissimo: gli evita concorrenza al centro e con questo meccanismo i suoi vengono eletti con le preferenze». Ma nonostante la strenua resistenza del fronte veltroniano a favore di una riforma «che fa bene al Pd», è arrivato lo stop.

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