Fa quasi male al cuore infierire su Auro Bulbarelli, da anni baldanzoso telecronista del ciclismo. Poveretto, al Giro e al Tour lo mandano in onda a ottanta-novanta chilometri dallarrivo: anche tre ore di trasmissione filate. Mica poche. Specialmente se la tappa è piatta e le uniche fughe sono quelle dinanzi al televisore. Cosa possono dire lui e il commentatore tecnico Davide Cassani quando il gruppo avanza a passo di lumaca? In fondo qualche pillola di storia e geografia tra ponti e castelli non fa male a nessuno. Ieri a fianco della Grande Muraglia, per la gara su strada, il tandem non si è comportato né meglio né peggio delle altre volte.
Ma il guaio, se ne saranno sicuramente accorti i tifosi, è un altro: sempre lo stesso. I nostri solerti telecronisti, della corsa sanno soltanto quello che vede anche lo spettatore. Ovvero ciò che offre la tv. Piazzati sul traguardo, locchio fisso sul monitor, i due chiacchieroni vanno eternamente a spanne: i distacchi? Boh. Santa sovrimpressione e santissima radiocorsa, aiutateci voi. Eppure basterebbero una moto e un cronometro, come si faceva ai tempi di Adriano Dezan. Che catastrofe poi appena tentano di azzeccare una previsione. Restando a ieri, hanno ribadito per svariati chilometri che i tre fuggitivi dellultimo giro (Andy Schleck, Rebellin e Sanchez) erano irraggiungibili. Arrendendosi solo quando il terzetto in testa si è trasformato in sestetto. Rebellin, medagliato con incauto anticipo, non poteva sentirli, altrimenti le mani non le avrebbe certo tenute sul manubrio.
A salvare capra e cavoli (senza riferimenti) ci sono le interviste del dopocorsa. Ieri limperturbabile Alessandro Fabretti, che sostituisce lancor più asfissiante Alessandra De Stefano, si è avventato sullansimante Rebellin per una domanda choc: «Per te vale oro questo argento?». Doppiata da questaltra perla: «Come sali sul podio olimpico? Con il sorriso, con la rabbia, con il rammarico?». Forse Rebellin era troppo stanco per strangolarlo.
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