Ecco il «camping» della Ghisolfa: miseria e degrado vivono in centro

La commissione Sicurezza visita l’insediamento abusivo più grande della città: 150 rom sotto il ponte nonostante le ruspe e gli incendi

Altro giro nelle favelas meneghine, altre sorprese, altra indignazione. Ecco l’ennesimo mondo sommerso, «il più grande insediamento rom abusivo della città», concludono i consiglieri della commissione Sicurezza di Palazzo Marino spolverandosi gli abiti. Emergono da sotto il ponte della Ghisolfa. Dove da almeno cinque anni si sono stabiliti 150 rom romeni (ma il loro numero effettivo è difficile da realizzare) con tende e casupole degne del Terzo mondo. Condizioni igieniche a dir poco esplosive: fango e cenere ovunque, pile d’immondizia a delimitare gli ingressi agli «appartamenti», topi grossi da far invidia alle leggende metropolitane. Tutto o quasi nascosto sotto i binari delle Ferrovie Nord. Però a sole otto fermate di tram da Brera.
Capoluogo del degrado ben noto agli amministratori, a considerare gli sgomberi a ripetizione effettuati negli ultimi anni. Inutili, «perché qui si è sempre punto a capo», ammette la polizia locale. Perfino l’ultimo incendio, quest’estate, non ha dissuaso gli inquilini del campo dal rialzare rifugi di legno e mattoni. Sì, avete capito bene, per proteggersi dalle correnti, nel cavalcavia gli occupanti hanno tirato su il cemento. Circostanza che non fa cambiare idea al presidente della commissione Matteo Salvini (Lega): «Scriverò al prefetto Lombardi, al questore Indolfi e al sindaco Moratti. Che seguano l’esempio di Veltroni. Se a Roma funzionano le ruspe, perché a Milano no?». Niente mezze misure, insomma: «Allontanare subito gli abusivi per restituire ai residenti la libertà di uscire per strada». Salvini si riferisce alle frequenti aggressioni da parte di rom, confermate dal comando dei vigili di piazzale Accursio, nei confronti di donne e anziani. Specie la sera quando il sottopasso in fondo a via Govone diventa impraticabile per «paura». Con la ciliegina: grazie a un buco nel muro di cinta ai rom è possibile arrivare fin nel parco giochi del centro d’aggregazione giovanile di via Pecetta. Conseguenze facili da immaginare. «E ora alle attività partecipano sempre meno persone».
«In ogni caso» Carmela Rozza dell’Ulivo crede che «gli sgomberi, da soli, servano a poco. Abbiamo il dovere di risanare e bonificare le aree, altrimenti certi contesti tornano a essere presto ingovernabili. Lo stesso ragionamento vale per le espulsioni - aggiunge - bisogna distinguere tra criminali, da rimpatriare, e i lavoratori con le proprie famiglie, da ricollocare in zone protette. «Magari sotto l’ala della Provincia e di don Colmegna», butta lì Pierfrancesco Majorino. Distinzioni che rischiano di diventare superflue all’evidenza dei fatti. Alle 11 di un venerdì qualsiasi i capifamiglia se ne stanno a un tavolo a giocare a carte, mentre i bimbi giocano tra i rifuti anziché essere a scuola.

Ma qualcuno sostiene «addirittura che è meglio così: quando passava a prenderli l’autobus del Comune, invece di entrare in classe i ragazzini si dileguavano. Li ritrovavi sui marciapiedi a fare incetta di portafogli e cellulari».

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