Ecco l’emiro del petrolio padrone del pallone

Tamin bin Hamad Al Thani è l’uomo più ricco del Qatar. E ha un grande sogno: comprarsi tutto il calcio del mondo

Ecco l’emiro del petrolio  
padrone del pallone

I soldi comprano i sogni e tutto il resto. Tamin bin Hamad Al Thani li mette tutti sul tavolo: compra, compra, compra. Vuole il calcio mondiale e se lo sta prendendo. È quello che gioca perché porta il pallone. Il cortile qui è il pianeta. Lui farà le squadre, lui manderà in onda le partite, lui prenderà il miglior allenatore per dargli la sua nazionale, lui ospiterà la Coppa del Mondo. A 31 anni non ha fatto in tempo ad avere un volto familiare e riconoscibile però sta riuscendo a mettere le mani sul calcio planetario.

È l’erede dell’emiro del Qatar ed è il nuovo signore globale del pallone: più dello sceicco Mansour che col Manchester City sta cambiando le regole del mercato, più di qualunque Abramovich, più di ogni altro multimiliardario che è entrato e uscito dagli stadi e dalla memoria negli ultimi vent’anni. Tamin bin Hamad Al Thani è la faccia benestante di un microstato che vuole impadronirsi del pianeta con il carico infinito di dollari che può portare in dote. È lui, attraverso il fondo sovrano del suo Paese, che ha comprato il Paris Saint-Germain per 70 milioni di euro con l’idea di trasformarlo in una delle potenze del calcio europeo. È lui che ha portato Leonardo a Parigi, è lui che vorrebbe Mourinho, è lui che ha stanziato 150 milioni per il primo anno di calciomercato del Psg.

È lui che ha appena convinto il cugino e proprietario di Al Jazeera a investire novanta milioni per prendere una parte dei diritti tv del campionato francese. Non ci ha messo molto a persuaderlo: Tamin bin Hamad Al Thani è Sua Altezza del Qatar, primo in linea di successione di Hamad bin Khalifa Al Thani, nonostante sia il quartogenito. Prenderà lui in mano la fortuna infinita della famiglia e del Paese perché gli altri hanno rinunciato da tempo. I giornali qatarioti parlano di Tamin come di un Messia laico che si prepara al domani. Il calcio fa parte del pacchetto: la Francia è un investimento contenuto. Se riesce il gioco di trasformare il Paris Saint-Germain in una delle big d’Europa i 220 milioni spesi in queste settimane sarebbero già abbondantemente ripagati.

Ma siccome Parigi è solo una scommessa, Sua Altezza ha diversificato molto il rischio. Ha preso 150 milioni e li ha messi tutti sulla maglia del Barcellona per 5 anni. Trenta milioni a stagione per sponsorizzare con la Qatar Foundation la squadra più forte e più chic del mondo. Il Barça aveva sempre resistito alle tentazioni milionarie degli sponsor: ha ceduto qualche anno fa quando ha stretto un accordo con Unicef. La scusa della buona causa ha fatto sbollire un po’ la rabbia dei tifosi catalani che mai avrebbero voluto sporcare la maglia con una scritta commerciale. Tamin ha convinto anche loro, evidentemente. Centocinquanta milioni in cinque stagioni è la cifra più alta della storia della sponsorizzazione pallonara. Record, un altro. Record, ancora. Perché l’idea evidentemente è quella di abbattere qualunque confine. La regola, l’unica del Qatar, è che non ci sono limiti. Il calcio è la vetrina di uno Stato che ha superato Dubai e Abu Dhabi. Lo dice la famiglia reale che per promuovere il suo Paese ripete di essere sempre l’emirato dei primati: il primo esportatore di petrolio, il più alto Pil pro capite, la più bassa tassazione sul reddito, il progetto del ponte più lungo del mondo da lì al Bahrein, l'unico Paese del Golfo che ha autorizzato la costruzione di una chiesa cattolica.

I soldi non bastano perché si macinano. Non c’è bisogno di fermarsi e Tamin bin Hamad Al Thani non si ferma. Il petrolio gli assicura il presente, il gas gli garantisce il futuro. La DanaGas è la cassaforte di Sua Altezza e della famiglia e il fondo sovrano del Qatar ha investito negli ultimi anni quattro miliardi di euro per le infrastrutture legate all’estrazione, alla distribuzione e al trasporto di gas. Non basta, non ancora. Il padre ha concesso a Tamin di studiarsi il futuro: l’erede s’è formato a Sandhurst, la stessa accademia militare dei principi britannici William e Harry. Poi l’ha lasciato fare shopping in Europa e Stati Uniti: ha il 17 per cento di azioni privilegiate della Volkswagen, è entrato a Hollywood, attraverso Walt Disney; s’è comprato i magazzini Harrods di Londra, ha una grossa quota della catena di supermercati british Sainsbury’s. Lui è Occidente e Oriente insieme. È la faccia nuova di un alleato strategico per Stati Uniti ed Europa. L’unico Paese del Medio Oriente che ha mandato i suoi aerei nella guerra in Libia è il Qatar. Tamin è amico personale di Nicolas Sarkozy, ha ottimi rapporti con David Cameron e soprattutto con Barack Obama. Non importano i nomi, contano le bandiere: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti. La strategia filo-occidentale è un’idea del padre, che nel 2003 ospitò a Doha il comando generale della missione anglo-americana nella guerra contro l’Irak di Saddam Hussein.

Tamin segue la scia: mescola Est e Ovest, abbatte le barriere. Il Qatar riesce a essere amico di Netanyahu e non nemico di Ahmadinejad. A Doha si applica la sharia, ma in versione soft: è permesso l’alcol e le restrizioni per l’abbigliamento femminile sono poco rigide, tanto che sta per partire un campionato di calcio con le giocatrici senza velo. È un gioco di equilibri complicati, è soprattutto una sfida agli altri emiri del Golfo per mostrarsi all’Occidente come interlocutore principale della nuova stagione del Medio Oriente. Allora grattacieli, sfarzo, modernità, laicità, capitalismo. C’è tutto e dentro c’è il pallone. Perché è business, è immagine ed è passione. Della gente e sua: l’erede al trono del Qatar è l’organizzatore del campionato nazionale dell’emirato. È un torneo privato, una specie di sfida aziendale, dove le aziende sono in realtà le famiglie degli uomini più ricchi del Paese. Lui, Tamin, ha una squadra che si chiama Lekhwiwa: chiama professionisti e vecchie glorie, li strapaga e li mette in campo. Ovviamente gioca anche lui. Così, esattamente come quando da bambini c’era sempre il più ricco che bisognava far giocare perché era scarso, ma oltre al pallone aveva anche un campo con le porte, le reti e il prato.

Al Thani ha esteso il concetto. Cambiano le proporzioni, non la sostanza: compro, spendo, gioco e mi diverto. I soldi comprano i sogni e tutto il resto, appunto. Hanno convinto anche la Fifa e il calcio mondiale che il Qatar potesse ospitare i Mondiali del 2022. Cinquanta miliardi di dollari di investimenti. Come facevano a non bastare? Servivano e servono a fare il miracolo della scienza e della tecnica. Perché la Coppa del Mondo si potrebbe dover giocare con una temperatura esterna che arriva anche a 48 gradi. Nessun problema. Nel progetto ci sono 12 stadi modulari e smontabili con l’acqua intorno e con impianti d’aria condizionata alimentati da pannelli fotovoltaici: pubblico e giocatori saranno tutti in un ambiente che non supererà i 26 gradi. Si può? Si deve. L’ha detto l’emiro, l’ha detto suo figlio. Ufficialmente il presidente della Federcalcio qatariota è ancora il padre. In sostanza comanda Tamin, al quale il sovrano ha già delegato la presidenza di tutte le altre federazioni, compreso il comitato olimpico locale. Arriverà anche il calcio, perché è lì che il giovane Al Thani ha deciso di puntare: nel pacchetto dei 150 milioni per sponsorizzare il Barcellona ha inserito la possibilità di chiedere a Pep Guardiola di staccarsi una stagione dal Barça (il 2012-2013) per andare ad allenare la nazionale del Qatar, salvo poi tornare alla base. Non basta, però. Controllare di fatto il Barcellona, comprare il Psg, prendersi i diritti del calcio francese con Al Jazeera non è sufficiente. Vuole anche l’Inghilterra e la vuole dalla testa: nei mesi scorsi avrebbe fatto un’offerta per comprarsi il Manchester United.

Un miliardo e settecentomila euro proposti all’americano Malcolm Glazer per il pacchetto di maggioranza del club più importante del Regno. La trattativa è stata smentita ufficialmente, eppure i giornali di Manchester e non solo continuano raccontarne i dettagli. Mistero che si alimenta dall’altra indiscrezione che arriva da Londra: Al Jazeera avrebbe pronto un piano per strappare i diritti tv della Premier League a Rupert Murdoch.

Suggestioni, le chiama qualcuno. Forse. Anche il Mondiale a 48 gradi all’ombra era un’ipotesi. Di più: era una follia. I soldi del padrone prossimo del pallone globale hanno realizzato quella. Possono realizzare tutto.

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