Ecco l’opera omnia

Scrive Antonio Machado (1875-1939), uno dei maggiori poeti spagnoli del Novecento: «Io, per ogni viaggio/ - sempre sul legno/ del mio vagone di terza -,/ vo leggero di bagaglio». Sono versi che traducono la sua ricorrente esperienza in treno fra la capitale e gli istituti di provincia dove insegna francese, ma riassumono anche quel vagabondare solitario, accompagnato da una disposizione dell’animo che tutto filtra in accadimento interiore, rendendo malinconico e sognante ogni motivo di carattere esterno e naturalistico.
Machado è un poeta libero dagli orpelli retorici delle scuole letterarie (che tuttavia conobbe e rielaborò nella sua opera), libero dagli eccessi delle avanguardie e dalla violenza delle ideologie estremistiche (ma non di certo estraneo alle vicende politiche della Spagna moderna), sensibile soprattutto ai valori autentici della vita che egli trasforma in biografia intimistica in consonanza con una scrittura essenziale, capace di tradurre gli elementi estetici e cromatici ereditati dal modernismo in vibrazioni spirituali. Un poeta umano e profondo - subito compreso da Pasolini che ne rivendicò la lezione e la grandezza universale -, che ora trova la sua giusta collocazione in Italia nella collana dei Meridiani che ne ha pubblicato l'opera completa (Antonio Machado. Tutte le poesie e prose scelte, Mondadori, pagg. 1591, euro 55, a cura di Giovanni Caravaggi). Il libro accoglie la raccolta di liriche tradotte da Oreste Macrí, uscita nel 1959 presso Lerici e poi ristampata dalle edizioni Le Lettere nel 1994, mentre per le prose utilizza la versione di Eugenio Maggi e, per quanto concerne i commenti alle note e ai testi si giova della collaborazione di Gaetano Chiappini; nondimeno il volume apporta nuovi materiali ritrovati nel tempo e corregge errori e letture trasmesse dalle precedenti edizioni. Illuminanti i due saggi introduttivi di Caravaggi che guidano alla comprensione della poesia e della prosa di Machado, dove lo studioso fin dalla prima pagina avverte del pericolo creato da una lettura che prediliga le singole raccolte, come Solitudini (1903), Campi di Castiglia, (1912) e Nuove canzoni (1924). La prima, segnata da una ricerca introspettiva e nostalgica dell’infanzia, si apre alla meditazione e all’evasione verso il sogno; la seconda canta il paesaggio castigliano con profonda emozione, superando la rivendicazione novantottesca del mito eroico nazionale; l’ultima, è poesia sentenziosa ed epigrammatica che però non sminuisce la sua essenza lirica tesa a valorizzare gli elementi più emblematici e simbolici della realtà.
Esiste poi un Machado riflessivo e filosofico, rappresentato dalla produzione in prosa e teatrale, quest’ultima scritta in collaborazione con il fratello maggiore Manuel, rappresentante di spicco del modernismo ispanico e sostenitore del regime franchista. Si tratta del libro I complementari e della produzione degli apografi, personaggi immaginari, come Juan de Mairena o Abel Sánchez, che dialogano con il poeta sulla problematica esistenziale e sull’esperienza della creazione poetica, divenendo il corrispettivo dialettico dell’alterità dell’autore, che ha frequentato le lezioni di Henri Bergson al Collège de France, conosce le opere di Kant, Leibniz e Kierkegaard, e ammira il magistero intellettuale di Unamuno e Ortega y Gasset. Possiamo dire che il pensiero filosofico di Machado si nutre di riflessione e tolleranza nei confronti delle debolezze dell’uomo, ma non manca un venato pessimismo che si accentua in prossimità dello scoppio della Guerra civile, a cui il poeta partecipa aderendo alla causa repubblicana.
Torniamo al viaggiatore «leggero di bagaglio». Nasce a Siviglia nel 1875, presto si trasferisce con la famiglia a Madrid e qui frequenta le tertulias letterarie della città; poi insegna negli istituti di Soria, Baeza e Segovia, da dove, ogni fine settimana, fa ritorno nella capitale; infine, ormai anziano, rientra definitivamente a Madrid. Una vita semplice, tranquilla, scandita dall’attività della docenza e tutta dedita alla lettura e alla creazione. Un itinerario esistenziale vissuto in grande solitudine («Oh, solitudine, mia sola compagna»), esaltato solo dall’amore per l’adolescente Leonor, che sposa nel 1909, ma che muore tre anni dopo, gettando il poeta nella più profonda disperazione. Disperazione da cui Machado si solleva in seguito alla conoscenza di Guiomar (pseudonimo di Pilar de Valderrama), che accende la passione del poeta, tormentato dal comportamento reticente e pudico della donna, musa ispiratrice dei suoi ultimi versi.


Siamo alla tragedia finale: nell’imminenza della caduta di Barcellona, Machado, insieme alla vecchia madre e ad altri familiari, riesce a prendere il treno per Collioure, sul confine francese, dove giunge in una stazione invasa da soldati e profughi. Malato di cuore e minato dalle sofferenze del viaggio, si spegne un mese dopo, il 23 febbraio 1939. Nelle tasche del cappotto lascia un foglietto in cui si legge: «Questi giorni azzurri e questo sole dell’infanzia».

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