Probabilmente leuforia causata dallescalation della Cina nella classifica mondiale dei costruttori di auto deve aver dato alla testa. I maestri del plagio, proprio loro, hanno deciso di togliersi qualche macigno dalle scarpe, approfittando dellattuale posizione nel contesto generale (la Cina ha superato lItalia ed è diventata il quarto mercato per Bmw, mentre dallinizio dellanno si è posizionata davanti agli Stati Uniti come numero di vetture vendute). Ecco allora che la casa costruttrice Great Wall va allattacco di Fiat, accusando il Lingotto di spionaggio: «Da Torino - spiega lavvocato Liu Hongkai - hanno inviato qualcuno allo stabilimento di Great Wall. E questo qualcuno ha scattato delle foto segrete della vettura ancora in corso di sviluppo. Abbiamo così denunciato Fiat per essersi introdotta nella fabbrica e aver rubato dei segreti commerciali».
Accuse sulla carta gravissime che il Lingotto, ovviamente, rispedisce al mittente: «In 110 anni di esistenza - ribatte Torino in una nota - Fiat non ha mai plagiato né imitato il design di altri». Per di più, al centro della querelle cè un modello che proprio Fiat aveva preso di mira tre anni orsono, ritenendolo una quasi fotocopia della Panda.
Il clone della city-car si chiama Peri e a fargli non poca pubblicità fu una battuta del presidente Luca Cordero di Montezemolo: «Se non altro - disse ironicamente allepoca della prima diatriba - dimostrano di avere buon gusto». In seguito i legali del gruppo fecero causa alla compagnia cinese e mentre il tribunale e la Corte dappello di Torino hanno dato ragione alla casa italiana, la giustizia di Pechino ha scagionato Great Wall. Da qui, con tutta probabilità, il desiderio di rivincita e lintenzione di far fare alla blasonata azienda italiana, che sta preparando il nuovo attacco al mercato cinese dopo aver stretto unalleanza con Guangzhou, una magra figura («non vogliono soldi, ma solo scuse pubbliche»). Non è un caso, infatti, che a distanza di due anni dalla presunta incursione dello 007 di Torino, la vicenda sia affiorata solo ora.
La denuncia al gruppo italiano ha fatto rumore perché, secondo i criteri che un buon cronista deve sempre osservare, la notizia è veramente tale quando è il padrone a mordere il proprio cane e non viceversa. E clamoroso, a questo punto, risulterebbe il tentativo di un costruttore occidentale del calibro di Fiat, che si avvale dei migliori designer del mondo, cercare di scopiazzare chissà quale cosa da chi, del plagio (e non solo automobilistico) ha fatto affari doro. A prendersela con un aspirante concorrente cinese, del resto, non è stata solo Fiat. Ad arrabbiarsi sono stati anche i tedeschi di Mercedes e Bmw dopo aver visto modelli molto simili alla piccola Smart (la Bubble di Shuanghuan) o al Sav X5, imitato da Martin Motors. La difesa dei costruttori asiatici, una volta sommersi dalle carte bollate, è stata la seguente: «Le auto cinesi si ispirano allo stile dei modelli europei, ma è inammissibile parlare di plagio». Per confondere le idee, comunque, cè anche chi ha voluto giocare sul logo di Bmw, la famosa elica bianco-azzurra, invertendo semplicemente i colori. Chi non ricorda, poi, la partita dolce-amaro giocata da Ferrero per salvaguardare i suoi cioccolatini Rocher, quelli serviti su un vassoio dallautista Ambrogio? Non deve essere stato bello, per lazienda di Alba, scoprire che tempo fa nei dintorni di Pechino venivano venduti simil-Rocher avvolti nella stessa carta dorata.
Ps. Oggi, se avete voglia, sfogliate il Financial Times. Troverete un appello a pagamento firmato da Vito Artioli, a nome dei calzaturifici italiani. Indovinate un po di che cosa si parla?
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