Roma - Un paradosso, certo. Piuttosto curioso, però, per un governo che del suo esser «tecnico» ha fatto fin dall’inizio un carattere distintivo in nome di un presunto primato della cosiddetta società civile sulla politica. E con Mario Monti che pochi giorni dopo essere arrivato a Palazzo Chigi non ha esitato ad invocare la «trasparenza» per fugare le solite malelingue che dipingevano il suo esecutivo come il governo delle banche o dei poteri forti e con rapporti molto stretti con il mondo delle imprese, qualcuno arrivando quasi ad evocare la caricatura di Corrado Guzzanti con cappuccio e uallera d’oro. «Trasparenza», ha assicurato il Professore durante la conferenza stampa dello scorso 4 dicembre promettendo «per i membri del governo» un «criterio a livello delle migliori pratiche internazionali» e annunciando la decisione di «dichiarare per intero i patrimoni» di ministri e sottosegretari. E «trasparenza» ha ribadito il 29 dicembre nella conferenza stampa di fine anno e ancora ieri in un colloquio con Il Sole24Ore. Ecco, passati quasi due mesi dalla nascita del nuovo esecutivo il paradosso è questo: due mesi fa lo stipendio del capo di gabinetto del ministero della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi era consultabile online sul sito del ministero, oggi su quello stesso sito non v’è traccia alcuna di quanto guadagni il neo-ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi.
Di trasparenza, insomma, per il momento neanche l’ombra. Anche se ad onor del vero va detto che Monti è stato chiaro sin dall’inizio. «Per quanto riguarda le dichiarazioni d’interessi dei membri del governo - ha detto - il termine prescritto per legge è di 90 giorni. Ed è questa la scadenza entro la quale ho chiesto ai miei ministri di adempiere alla dichiarazione». Termine che scadrà a metà febbraio. Detto questo, sempre rimanendo in tema di paradossi, è piuttosto curioso che un governo che in due settimane è riuscito a mettere nero su bianco una manovra da 45 miliardi di euro non sia in grado dopo due mesi di fare chiarezza su quali siano i redditi, i patrimoni personali, i rapporti professionali e le relazioni con imprese o gruppi di pressioni dei propri componenti. Una richiesta arrivata da più parti visto che la questione è stata trattata con ampio spazio da quotidiani diversi e lontani come Il Corriere della Sera e Il Fatto.
D’altra parte, il problema riguarda più di un esponente dell’attuale esecutivo. Dal titolare dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture Corrado Passera (che ha detto di aver «già venduto» le sue azioni di Banca Intesa) a quei ministri, già dirigenti pubblici, che godono del doppio stipendio. Che non prende Monti, visto che ha annunciato di aver rinunciato alla busta paga di presidente del Consiglio (ma non a quella di senatore a vita). Per avere un quadro più chiaro, però, si dovrà aspettare ancora un mese. Segno che la questione per il governo forse un pizzico spinosa lo è davvero.
Con l’ultimo dei paradossi. Non solo non sono stati ancora resi pubblici i redditi dei membri dell’esecutivo, ma sul sito del governo non è neanche possibile consultare i curriculum di tutti i ministri e i sottosegretari. Su 47 ce ne sono neanche una ventina. Mancano all’appello Enzo Moavero (Affari Ue), Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento), Patroni Griffi, Anna Maria Cancellieri (Interni), Paola Severino (Giustizia), Giampaolo Di Paola (Difesa), Passera, Corrado Clini (Ambiente), Elsa Fornero (Lavoro) e Renato Balduzzi (Salute). Anche se, va detto, per molti di loro le note biografiche si possono trovare sui siti dei rispettivi ministeri. Un caso a parte quello del premier. La biografia c’è.
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Il governo che ha varato la manovra-lampo non ha ancora reso pubblici i patrimoni di ministri e sottosegretari: dovremo aspettare un altro mese. Il paradosso: da consulente Patroni Griffi aveva online il suo compenso. Ora non c'è...
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