Solo una «simpatia» in chiave anti-Cav o addirittura un patto? L’ultimo gossip del Palazzo sul presidente della Camera riguarda un possibile retroscena del rinnovato feeling tra Gianfranco Fini (e i finiani) e la magistratura, «rivelato» in anteprima, la scorsa settimana, da Silvio Berlusconi.
Un abbraccio, quello tra Fli e le toghe, che si è fatto più stretto man mano che l’ex leader di An si allontanava dal Pdl, e che si è manifestato in dichiarazioni pubbliche, sia in contrasto con i periodici attacchi del premier alla magistratura che indipendentemente da queste.
Come è avvenuto nel caso, esemplare, dell’inchiesta romana sull’affaire monegasco: Fini da subito ha ribadito la propria fiducia nel lavoro dei pm capitolini e ha professato serenità. Poi è andata come si sa: richiesta di archiviazione da parte della procura, e protezione assoluta, una quasi inedita blindatura, della notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati per il presidente della Camera. Le toghe romane, che tra l’altro non hanno mai convocato Fini in una vicenda nel quale il suo ruolo era centrale, lo hanno indagato per truffa aggravata soltanto l’ultimo giorno utile, contestualmente alla richiesta al Gip di chiudere la partita, quando insomma non potevano farne a meno.
Finora, con un pizzico di malizia, si era attribuito il trattamento riservato all’ex presidente di Alleanza nazionale proprio alla sua nuova apertura nei confronti del potere giudiziario. Ma negli ultimi tempo una voce tutta da verificare circola con insistenza in alcuni ambienti politici. Ci sarebbe persino un testimone, pronto a giurare sull’esistenza di uno scenario diverso, un vero e proprio patto di non belligeranza tra il capo di Futuro e libertà e la magistratura. A far emergere quella voce sui giornali sono state le indiscrezioni del pranzo tra Berlusconi e gli eurodeputati del Pdl, lo scorso 20 dicembre. Lì Berlusconi ha attaccato duramente l’ex alleato, parlando appunto di un «patto» siglato tra Fini e l’Anm, l’associazione nazionale magistrati, secondo il quale le toghe avrebbero garantito protezione al presidente della Camera e ai suoi, e in cambio la terza carica dello Stato avrebbe assicurato lo stop a Montecitorio di qualsiasi legge «contro» i magistrati. Tanto che lo stesso numero uno dell’Anm, Luca Palamara, avrebbe passato alla finiana Giulia Bongiorno, presidente della commissione giustizia, il testo di quattro emendamenti al testo della legge sulle intercettazioni, prima «vittima» dell’accordo. Berlusconi, poi, ha smentito quelle dichiarazioni, Fini le ha definite «barzellette».
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