«Ecco perché certi orologi costano una follia»

Ma come fa un orologio a costare quanto se non di più di un’auto di grossa cilindrata? È quanto si chiedono in molti. Come è possibile che pochissimi centimetri cubici di meccanismi vari vengano venduti più cari di un 12 cilindri sportivo o di una berlina d’alta rappresentanza? Non si può dire di certo che a incidere sia il metallo più o meno prezioso con cui è realizzata la cassa: qualche decina di grammi d’oro o di platino (in genere dai 25 ai 50 grammi) possono influire al massimo per due o tre migliaia d’euro; se l’orologio ha anche il bracciale in oro il prezzo sale ovviamente ulteriormente, ma raggiungere certi livelli appare pur sempre inspiegabile. Per chiarire il mistero ci siamo rivolti a Michel Parmigiani, maestro orologiaio d’origine italiana e titolare, a Fleurier, d’una manifattura, tra le più rinomate nonostante la sua fondazione risalga a pochi anni addietro, che ha in catalogo diversi modelli dal prezzo «stratosferico».
«Sono diversi gli elementi che concorrono a formare il prezzo d’un orologio», risponde Michel,«per esempio, la rarità, ovvero la quantità di pezzi che si producono; ma soprattutto c’è il valore aggiunto rappresentato dal raffinamento e dalla rifinitura del prodotto e dalla cura nel montaggio. Un orologio può avere le viti normali, oppure quelle piane, lucidate, azzurrate e con spigoli vivi: lavorarle perchè diventino tali costa tempo e denaro».
«Non è solo un fatto estetico», prosegue Parmigiani, «perchè gran parte di questo lavoro non si vede neppure, ma un orologio ben rifinito ha vita molto più lunga d’uno assemblato in maniera standard. Un perno non lucidato non crea problemi quando l’orologio è nuovo, ma a lungo andare provoca usura e guai. E capire il valore e il costo elevatissimo di manodopera specializzata per queste finezze non è facile neppure per molti negozianti».

Con una produzione limitata e un laboratorio per i restauri dei modelli d’alta epoca, la Parmigiani Fleurier ha come filosofia la realizzazione di modelli rari. «Non diciamo esclusivi», sottolinea Michel, «perchè ciò significherebbe voler “escludere” qualcuno, ma “rari” e qualche volta irripetibili, come si conviene agli oggetti d’arte».

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