Ecco perché continuiamo a parlare di «Repubblica»

Caro direttore,
le scrivo perché ieri ho visto in copertina un «la Repubblica non vince anche giocando con l’arma del pettegolezzo». Ahimè non ho avuto tempo di leggere l’articolo. Nessun cinismo, leggo spesso il Giornale, credo siate nel 99 % dei bar, almeno della mia città, per non parlare delle volte che ho chiesto a qualcuno di prendermi il giornale e mi ha comprato proprio... il Giornale. (...)
Trovo comunque tutti i vostri continui riferimenti a la Repubblica abbastanza noiosi e anche distraenti, nei confronti di un giornale che molto spesso si legge molto piacevolmente. Prima di tutti avrete sentito parlare, almeno uno di voi redattori, del fatto che la pubblicità negativa non esiste. Io per prima, ad esempio, ho spesso recuperato articoli dopo averli visti decantare su altre testate (ieri ad esempio, la Repubblica non l’avevo comprata); e poi, avete mai pensato che ad esempio alcuni leggano la Repubblica o un qualsiasi altro giornale semplicemente perché gli piace com’è scritta? Vi posso assicurare che io, pur non negando la mia «sinistrità», non ho mai letto l’Unità né il manifesto per motivi puramente dialettici. Idem il Corriere.
Se dobbiamo scendere nel particolare trovo che tra le migliori penne d’Italia ci siano Michele Serra e Filippo Ceccarelli e per migliori penne intendo che anche quando parlano del Cavaliere, secondo voi magari dicendo bugie, non entriamo nel merito delle colpe per un secondo, lo facciano da grandi professionisti quali sono e quindi strappando risate - se non consensi - anche a chi magari non li condivide. O almeno facendo riconoscere a chi legge la loro abilità. O sbaglio? Io stessa pur non condividendo quello che dice Panebianco lo leggo molto volentieri. Idem per il talentuosissimo Massimo Fini.
Ora quindi non è questo l’interesse che dovrebbe suscitare la lettura? Non è di questo che parliamo quando parliamo di leggere un giornale? Compriamo il prodotto, o compriamo il partito? Chi legge il giornale, immagino, non vuole solo essere informato in maniera spuria, sennò leggerebbe il televideo. Sono sicurissima che se si smettesse di parlare di giornali di destra e di sinistra si leggerebbe molto di più e si potrebbe discutere, negli angoli preziosi come questo, dell’onestà dell’articolo, della notizia in sé e di che cosa manca o no. Insomma smetteremmo tutti di guardare il dito e guarderemmo questa splendida Luna che è (a volte) l’editoria italiana.

Cara signora Claudia, intanto la ringrazio per il tono garbato della sua lettera e per il fatto che, pur non pensandola come noi, si prende la briga di leggerci. Siamo abituati - e da anni - a un ben altro trattamento da parte di chi, leggendo (legittimamente, è ovvio) altri giornali, ci schifa come «reazionari» o «servi». Lei dice che, in un certo senso, pure noi demonizziamo i giornali che «stanno dall’altra parte». «La Repubblica» nella fattispecie. Ma non è così, signora. Noi sappiamo benissimo che «la Repubblica» è un grande giornale pieno di grandi professionisti.

Ma proprio per questo pensiamo che, negli ultimi tempi, abbia tenuto un atteggiamento non in linea con la sua fama. Perché un conto è criticare politicamente il rivale; un altro è intingere la penna nella spazzatura. Come «La Repubblica», ce lo consentirà, ha fatto e continua a fare.

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