Ecco perché Gianfranco non può essere sfiduciato dalla Camera

Il Presidente della Camera, in quanto carica istituzionale, non è soggetto alla sfiducia. Una volta eletto dall’assemblea nella prima riunione della legislatura, «rappresenta la Camera e ne assicura il buon funzionamento», come prevede l’articolo 8 del regolamento di Montecitorio. Una delle ipotesi di scuola circolate ieri, quella delle dimissioni, al momento appare poco praticabile. «Il presidente della Camera svolge un ruolo di garanzia - spiega il costituzionalista Giovanni Pitruzzella - e dunque non è soggetto a un rapporto di fiducia con la Camera che lo ha eletto, peraltro a maggioranza qualificata». Non è mai successo, peraltro, che l’inquilino di Montecitorio si sia dimesso per motivi non «istituzionali».
Il primo presidente della Camera dalla nascita della Repubblica italiana fu Giovanni Gronchi, che dopo un mandato e mezzo venne eletto presidente della Repubblica il 29 aprile 1955. Al suo posto venne eletto Giovanni Leone, che otto anni dopo lasciò lo scranno più alto della Camera per fare il presidente del Consiglio il 21 giugno del 1963. Il democristiano Brunetto Bucciarelli-Ducci gli subentrò fino a fine legislatura. Alessandro Pertini durò otto anni (V e VI legislatura), poi l’incarico passò ai Pc Pietro Ingrao (1976-1979) e Nilde Jotti(1979-1992, il mandato più lungo della storia d’Italia). Nel 1992 Oscar Luigi Scalfaro restò presidente della Camera per appena un mese (è il mandato più breve), dal 24 aprile al 25 maggio, per poi essere eletto al Quirinale. A succedergli l’attuale inquilino del Colle Giorgio Napolitano.
Con la Seconda repubblica è iniziata la «politicizzazione» dei presidenti di Camera e Senato. Irene Pivetti nel 1994 divenne la più giovane presidente della Camera, ad appena 31 anni, poi fu il turno di Luciano Violante, Pierferdinando Casini, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini.

«Il fatto che la coalizione di maggioranza oggi esprima la seconda e la terza carica dello Stato - sottolinea Pitruzzella - non implica affatto un mandato “politico”. Fini, se vuole, può dimettersi. Ma nessuno lo può sfiduciare».

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