Ecco perché Milano dice no alla Messa preconciliare

La decisione è formalmente ineccepibile ma ha comunque destato qualche sorpresa e non soltanto negli ambienti tradizionalisti. Molti lettori hanno scritto, altri sono intervenuti nei blog. Come anticipato dal Giornale nei giorni scorsi, la diocesi di Milano ha stabilito che il Motu proprio «Summorum Pontificum», con il quale Benedetto XVI ha inteso liberalizzare l’antico messale venendo incontro alle attese dei fedeli legati alla liturgia preconciliare, non sarà applicato al rito ambrosiano. Rito mai citato nelle nuove norme papali. Lo scorso 24 agosto il pro-presidente della Congregazione del rito ambrosiano, l’arciprete del Duomo monsignor Luigi Manganini, ha firmato un comunicato che è stato consegnato ai decani della diocesi (ma non è ancora stato reso noto ufficialmente). In questo testo Manganini ricorda che il Motu proprio, come spiegato lo stesso Benedetto XVI nella lettera inviata a tutti i vescovi, è stato emanato per «favorire la riconciliazione interna alla Chiesa e recuperare chi si è allontanato da essa per diversi motivi a seguito della riforma liturgica».
Poi l’arciprete del Duomo precisa che le nuove norme, in vigore dal 14 settembre riguardano «com’è ovvio, le parrocchie e le comunità di rito romano presenti in diocesi», e non quelle, cioè la stragrande maggioranza, di rito ambrosiano. Ma è curioso che anche nel paragrafo dedicato alle prime si attesti che in queste «non ci sono state richieste per l’utilizzo della precedente concessione» di celebrare alla vecchia maniera, «né risultano esistere gruppi stabili di fedeli per i quali potrebbero essere opportuni passi di riconciliazione». Come dire: il Motu proprio entrerà in vigore, ma già si mette preventivamente nero su bianco che – mancando gruppi stabili di fedeli – non sarà necessario provvedere a messe in rito antico.
«Per quanto attiene il rito ambrosiano – continua monsignor Manganini – l’apposita Congregazione, presieduta dall’arcivescovo capo rito, in assenza di situazioni di rottura ecclesiale a seguito della riforma liturgica attuata secondo i decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II», conferma le indicazioni date nel luglio 1985, ricordando che sono tenuti ad osservarle «i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i singoli fedeli e le comunità che celebrano secondo il rito ambrosiano». Vale a dire che il Motu proprio non si applica per gli ambrosiani, ma rimane in vigore un’unica messa domenicale in rito antico per tutta la diocesi celebrata nella chiesa del Gentilino (ora sospesa per la pausa estiva). «La nostra diocesi, che ha nel rito ambrosiano la sua peculiare modalità celebrativa – conclude Manganini – si senta impegnata a far si che la liturgia costituisca davvero il culmine e la fonte della vita e dell’azione della Chiesa (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 10), con una celebrazione sapientemente curata, che esprime la fede professata, vissuta e testimoniata nel mondo di oggi».
Quella ambrosiana è un’interpretazione più che letterale del documento papale, ma che può anche suonare come una rispettosa presa di distanze – e così è stata letta da molti – dalle indicazioni di Benedetto XVI, il quale ha voluto invece concedere con maggiore liberalità l’uso dei testi liturgici antichi permettendo che i fedeli si rivolgano direttamente ai loro parroci per chiedere la celebrazione di messe antiche in orario domenicale. E stabilendo inoltre l’assoluta libertà dei singoli sacerdoti di celebrare coi libri preconciliare nelle messe cosiddette private alle quali possono partecipare i fedeli.
Nella lettera di Ratzinger ai vescovi si legge che i beneficiari della decisione papale sono i fedeli «fortemente legati» al rito antico, che «fin dall’infanzia era per loro diventato familiare». Il Papa rileva però anche che «giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata per loro, di incontro con il mistero della santissima eucaristia». Inoltre il documento stabilisce che i fedeli possano presentare la loro richiesta ai parroci con l’entrata in vigore del documento, e non che debba essere documentata l’esistenza precedente di gruppi stabili di fedeli. Il Motu proprio riconosce dunque apertamente la piena cittadinanza del messale preconciliare, che non è da considerare un testo «fuori legge», ma una forma straordinaria di celebrare lo stesso rito.

Colpisce infine che monsignor Manganini non consideri un «gruppo stabile» i fedeli che da vent’anni seguono la messa al Gentilino, concessa dall’allora arcivescovo Carlo Maria Martini: sono circa una sessantina ogni domenica, provenienti da varie zone della diocesi.
blog.ilgiornale.it/tornielli

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